A noi spezzini, si sa, piace guardare la storia, la politica, insomma la vita dal buco della serratura di... via Prione. In tutto quello che accade in Italia, e a volte addirittura nel mondo, ci piace dare la nostra interpretazione, la nostra visione, a partire dalla nostra specifica realtà spezzina. Insomma, utilizziamo la prospettiva sprugolina per dare un senso a tutto e interpretare tutto quello che capita fuori porto e fuori golfo.
Spesse volte questo si rivela un atteggiamento riduttivo, forse provinciale: insomma riteniamo che sia Spezia il vero “caput mundi”. E, da spezzino che ha passato due terzi abbondanti della propria vita a Milano e in giro per l’Italia (e dunque, per definizione, “all’estero”), vi assicuro che questa “attitudine” non si perde mai perché in fondo Spezia è la nostra mamma, è la nostra radice più profonda, è e rimarrà sempre la “nostra terra”, nel bene e nel male.
Il rischio, dunque, di “spezzinare” (chiedo scusa) e di condire in “salsa spezzina” anche la storia è forte e sicuramente, dobbiamo riconoscerlo, in fondo potrebbe rivelarsi limitante e parziale.
Ma Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello, scrivendo le loro (prime) 850 pagine sugli anni Sessanta alla Spezia e nella provincia, non sono caduti in questo errore e non hanno cercato di piegare i riferimenti alla politica e alla società italiana (e non solo) a quanto accadeva dalle nostre parti. Il godimento derivante dalla lettura del loro volume (“Un mondo nuovo, una speranza appena nata: gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia, volume primo Dai moti del 1960 al Maggio 1968”, edizioni Cinque Terre, euro 30,00) sta proprio nel contrario: scoprire come quei fremiti di novità, quella sempre più incalzante volontà di lotta e di speranza per un mondo migliore e senza autoritarismi e ingiustizie, quei vagiti di cambiamento epocale che diventarono poi “il Sessantotto” che iniziavano a scorrere in tutto il mondo siano stati vissuti a Spezia e come le spezzine e gli spezzini protagonisti di quegli anni vissero le esperienze e gli stimoli che arrivavano da fuori.
Il libro di Pagano e Mirabello è un’opera davvero colossale ma non solo e non tanto nella dimensione (come dicevamo sono 850 pagine solo il primo volume) quanto nella ricchezza di memorie, testimonianze (ben 247!), foto, documenti, racconti e informazioni che ne fanno davvero un pezzo importante di storia della nostra città. Lo si sfoglia come un album di ricordi ma non è solo la memoria. Dal libro traspare anche qualcos’altro: un sottile stimolo a ricordarci “come eravamo” per capire meglio chi siamo. Ma soprattutto per farci impegnare ancora a progettare “come saremo”. Quella voglia di “un mondo nuovo”, quel senso di “speranza” che allora era “appena nata” (il titolo cita il poeta di Pavana Francesco Guccini in una delle sue canzoni memorabili) forse ci aiutano a capire che quel mondo non si è ancora rinnovato nel profondo, come pensavamo, e che quella speranza appena nata ha forse bisogno di crescere ancora e diventare grande.
E dunque grazie a Giorgio Pagano e a Maria Cristina Mirabello per il loro lavoro e per la continua divulgazione che continuano a fare in giro per la provincia nelle tante presentazioni del volume. E rimaniamo attesa del secondo volume non certo per sapere “come è andata a finire” ma per fare memoria e non dimenticare niente di quegli anni: speranze, lotte ed errori compresi.