Il giorno dell’ultimo saluto ad Antonello Pischedda, Andrea Orlando, appena fuori dalla chiesa, mi ha detto: “E’ la fine di un’epoca”. Ho pensato agli oltre trent’anni di collaborazione, a volte conflittuale, con Antonello. Con nostalgia per le grandi passioni di allora. Ma il passato, come sempre, si rievoca per parlare al presente, alla nostalgia di utopie delle nuove generazioni.
Sto lavorando a una ricerca sul ’68 -’69 alla Spezia e su ciò che prepara il biennio del “grande cambiamento”. Il teatro ebbe un ruolo fondamentale. Antonello e Fulvio Acanfora produssero uno spettacolo delle Magistrali e ne scrissero insieme nel 1961, nel giornale “Il quarto d’ora degli studenti”: si firmavano “Piscanfora”. Dario Fo è citato tra gli ispiratori. Si costituì allora, per iniziativa loro e di altri studenti, il “Centro di iniziative teatrali”, con l’obbiettivo di dar vita a una struttura teatrale stabile nella città, che fosse un luogo di riflessione critica sul mondo. Un’intera generazione fu mobilitata, e la città coinvolta. Nel ’63, nell’Astra gremito, “La Mandragola” di Machiavelli, vietata ai minori di 18 anni, ebbe un grande successo. Le attività continuarono fino al ’68, quando Antonello, che andò allo Stabile di Genova, si separò da Acanfora, che andò a Roma a fare teatro sperimentale.
Nel ’72 Pischedda fu chiamato a dirigere il Civico, diventato teatro pubblico per volontà del Sindaco Varese Antoni e dell’assessore Luigia Rosaia. Fece il Direttore fino al 2007, quando terminai il mio secondo mandato. In 35 anni si fanno cose buone e meno buone, come tutti. Ma certamente il Civico diventò uno dei più importanti teatri italiani.
A mio parere c’è una parte più vitale dell’operato di Pischedda. E’ quella in cui fu capace di fare un teatro non solo di intrattenimento ma anche di socialità e di riflessione, e di creare un nuovo pubblico: come negli anni ’70, nella stagione del “decentramento” delle iniziative, da piazza Brin alla Chiappa e a Rebocco, da Melara al Favaro, quando artisti famosi si cambiavano, senza camerini, dietro gli alberi; o come nell’iniziativa “Il mare dello spettacolo, lo spettacolo del mare” (1978), un “altro spazio” creato con il grande Enzo Ungari. La parte più vitale è, ancora, quella in cui Antonello fu capace di fare del teatro un luogo non solo di fruizione ma anche di produzione: come nel rapporto con le scuole, di cui fu simbolo lo spettacolo “Da storie di tutte le storie” di Gianni Rodari (1975), prodotto con la collaborazione di tante classi delle nostre scuole. La parte più vitale, infine, è quella del teatro internazionale e impegnato. Fu con grande convinzione al mio fianco per fare di Spezia, durante il G8 del 2001, un centro di riflessione critica sulla globalizzazione: con il concerto di Bob Dylan e con il convegno “La Spezia per il G8. Il potere della letteratura”, a cui parteciparono grandi scrittori da tutto il mondo: Matvejevic, Consolo, Vassilikos,... Gli atti sono un libretto prezioso ancora oggi.
Ecco le lezioni più vive che Antonello ci lascia: un teatro che si interroga sul senso del mondo, un teatro laboratorio, un teatro politico, che combatte la perdita dei legami sociali e la deriva narcisistica e disumana del nostro tempo. Senza queste passioni civili il teatro è solo monetizzazione del tempo libero. In fondo, come dice il sommo poeta, “Nati non foste a viver come bruti”.
Giorgio Pagano
già Sindaco della Spezia