"Intervengo sulla questione Dialma perché volevo ricordare alcune cose che certi politici dell’opposizione che hanno fatto interpellanze e volantini evidentemente non hanno capito.
Il Teatro è un’arte bella, vivificante, ma anche difficile da apprendere e da insegnare, ha a che fare con l’inconscio, con l’immedesimazione. Ho visto docenti improvvisati fare danni ad allievi giovani, ancora non preparati ad affrontare percorsi drammaturgici profondi. Perché il problema è questo: si crede che il teatro sia un’arte facile, che tutti la possano fare. Che ci vuole: basta essere un po’ alternativi e un po’ egocentrici come scriveva ironicamente la professoressa Forma del Costa.
Ho frequentato da uditrice le lezioni di Ronconi agli allievi della Scuola di Santa Cristina: la serietà e l’impegno che veniva chiesto era totale. La preparazione portava a risultati straordinari. Che ne è stato del vecchio metodo quando si arriva a fare formazione dopo un percorso lungo e complesso, dopo aver attraversato tutti gli autori, tutti i metodi e aver trovato l’umiltà di uscire dal ruolo di attore per offrire, come diceva il maestro Peter Brook “qualcosa della luce che è in te”? Non frequento luoghi dove manca l’umiltà e la vera arte, dove il non professionismo crea ambizioni sbagliate, indica strade che non condurranno da nessuna parte. Ho letto spesso curriculum di persone che millantavano di “aver lavorato con Dario Fo” ma in realtà avevano solo assistito a una sua lezione pubblica, e però a 20 o 22 anni te li ritrovi lì ad autoproclamarsi “docenti” e “formatori” esperti. Cosa c’entra con la Dialma? C’entra purtroppo. La formazione è una cosa seria, anzi serissima.
Il teatro può essere un divertimento ma il terreno di gioco va preparato. Non si capisce il motivo per cui un Comune debba pagare profumatamente per lasciare spazi gratis o quasi, ad attori non professionisti e a formatori non iscritti ad alcun albo. Per non parlare della bizzarra e sbilanciata spartizione dell’auditorium, non giustificata dalla qualità delle proposte, dei contributi comunali non banali mai messi in discussione, complice l’amministrazione Federici, e che si sommano a numerosi altri pingui contributi pubblici. Ho frequentato il Teatro Valle, ero alla Cavallerizza di Torino il giorno stesso dell’occupazione, sono una frequentatrice abituale del Teatro Rossi Libero di Pisa, che grazie al lodevole lavoro degli artisti è stato riaperto. Ma la Dialma non è una storia come quelle, e la battaglia di cui Lombardi e Melley si fanno portavoci, non ha certo quelle condivisibili premesse.
Mi sembra chiaro che il Comune riconosca l’importante lavoro di aggregazione sociale fatto dalle associazioni, e non intenda affatto svalorizzarlo: la privatizzazione non è poi tra gli obiettivi, casomai una riorganizzazione interna che regolamenti spazi e ponga fine a eventuali privilegi e porti vantaggi alle stesse associazioni che lì hanno sede. Ci chiediamo come mai in questi anni le associazioni non abbiano mai pensato a una proposta di gestione collettiva. Mia nonna diceva che a forza di tirare la corda, questa si spezza. Ovviamente sono una persona di cultura e vorrei che a questo settore fosse garantita una sempre maggiore quantità di contributi, ma sono anche consapevole che alla Dialma in passato si è distinto tra figli e figliastri. Si è sperperato alla cieca arrivando addirittura a produrre spettacoli di dubbia qualità.
Ora i conti non tornano e giustamente il Comune si pone l’obiettivo di razionalizzare le spese: intanto l’affitto lo devono pagare - poco - tutti, anche quelli che per molti anni ne erano stati esentati. La storia è sempre la stessa, per colpa di qualcuno ci rimettono tutti. E ora speriamo in una proposta gestionale di qualità: saremo osservatori attenti e critici del futuro di questo spazio.
Anna Maria Monteverdi, ricercatrice di Storia del Teatro, docente di Storia della Scenografia all’Università Statale di Milano