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di Francesca Dallatana - Solitudine in vetrina. Homeless workers.

Lavorano, ma la retribuzione non è sufficiente per pagare affitto e bollette. Sono i nuovi poveri. Difficile firmare un contratto d’affitto, oggi. Altrettanto, garantire la regolarità dei pagamenti di oneri di locazione e servizi essenziali, quali luce e gas.
E’ il minimo comune denominatore tra italiani e persone migranti.

Un esercito di ciclisti. Al mattino, tra le cinque e le sei.
Affamati di asfalto, a spingere sui pedali verso le aree industriali. Vengono da case di cartone improvvisate in angoli di strada fuori dalla portata di sguardi indiscreti e, per quanto possibile, lontano dal controllo del vicinato. In campagna va meglio, perché ci si ripara in casotti di mattoni e di fortuna tra vecchi attrezzi agricoli abbandonati e animali notturni sloggiati dai nuovi inquilini.
Sono i lavoratori poveri. Per lo più immigrati. Ma non solo. Il fenomeno è trasversale e in aumento.

Fin qui: Italia del nord, anno 2024.
Sfd. Senza fissa dimora.
Un senza fissa dimora potrebbe vivere su uno yacht. Sfd: l’acronimo è noto agli operatori dei servizi sociali.
Il protagonista del “Diario di un senza fissa dimora” è un senza tetto. Non vive e non dorme su uno yacht. Ma su una vecchia Mercedes, a Parigi.
Il libro è una vetrina di solitudine.
Pubblicata in Italia nel 2011 da Raffaello Cortina Editore, la fiction letteraria è una cronaca della vita quotidiana stracolma di pensieri alla ricerca di luoghi ai quali aggrapparsi.

Marc Augé è un antropologo, etnologo e scrittore francese. Nato a Poitiers nel 1935; scomparso a Poitiers nel 2023. A dimostrazione che il grande viaggio della scrittura condiziona il bozzolato grigio quanto lo spostamento nello spazio.
E’ scrittore prima che antropologo, in questo diario deciso e potente come una corsa nel fango in autunno.
Il libro è come un’impronta definita sul terreno della ricerca sociale dedicata al tempo e al senso del lavoro. Senza etichette e inutili e ridonanti chiose.

Il personaggio.
Impiegato in pensione dall’agenzia del fisco. Un grigio burocrate. Che ha messo la penna nell’ultimo dei cassetti di casa per dimenticarsene. Fino a che i fatti della vita e l’età della ragione non gli presentano il conto. In unica soluzione.
Ai duemila euro di pensione ne deve sottrarre ottocentocinquanta per gli assegni alla prima moglie, dalla quale ha divorziato. Il denaro non è sufficiente per le spese di casa.
Ripara in una dignitosa solitudine, dalla quale non trapelano informazioni personali. Niente è lasciato al feroce pasto del gossip del vicinato, a partire dalla portinaia. Coltiva un legame blando con il quartiere.
Lascia intendere un trasferimento all’estero per lavoro o per affari di famiglia.
Dopo avere venduto al rigattiere oggetti e mobili e paccottiglia ha l’impressione di essere ricco. Gli è rimasta l’auto come tetto per la notte. Alla quale alternerà camere d’albergo di costo basso e con il bagno condiviso con altri inquilini dello stesso piano. Paga un letto e un tetto, ogni tanto. Per lavarsi e per usare i servizi. I servizi, insieme ai vestiti rappresentano problemi per i senza tetto.

Luoghi e non luoghi.
Taglia e cuce su misura un nuovo legame con il quartiere nel quale più spesso parcheggia la Mercedes nelle ore notturne.
Si tende ad appartenere al luogo dove più a lungo si dorme.
E l’antropologo Marc Augé letterariamente gioca con il concetto di “non luogo.”
“Non luogo” è tutto ciò che non permette identità, che appiattisce le persone in una omogeneità senza nomi e senza storia.
L’autore magistralmente palleggia sulla terra rossa della letteratura, un campo da gioco molto noto alla sua penna. Affonda la palla a tutto campo con ritmo e velocità tali da trattenere il lettore sul crinale dell’illusione intellettuale di risonanza empatica con il senza tetto protagonista.
“I parigini sono come gli uccelli di campagna”: non si allontanano mai da un perimetro molto ristretto. Lo fa dire all’autore del diario, Marc Augé. Glielo appiccica al diario, collegato ad un ricordo delle vacanze in Normandia nella sua vita passata.

I senza tetto sono dei Gps (Geographic Position System, Ndr) viventi e di straordinaria potenzialità mnemonica. Hanno ben chiara e in testa una mappa dei luoghi sicuri, spesso oscuri non perché non illuminati ma perché fuori dalla sfera di attenzione. Nella mappatura dei luoghi di quotidiana utilità ci sono i servizi di utilizzo gratuito. Posizionati ben oltre il perimetro dell’arrondissement di parcheggio dell’automobile. Nella borsa al seguito: ci sono sempre gli effetti personali e cioè gli strumenti per la toeletta e la cura della persona.
Il senza tetto autore del diario frequenta in modo abitudinario centri di relazione sociale, bar e negozi. Si perde in chiacchiere con i titolari delle attività commerciali, sempre attento alla protezione dei dati sensibili e personali. Sono luoghi importanti, le agenzie sociali di contatto: negozi e bar, identificabili e con una vita propria. Il protagonista impone l’asepsi del “non luogo”. Li deterge dalla personalizzazione, castra la quotidiana invasione nella vita degli altri: la curiosità.
Veste con cura. L’abito è il biglietto da visita dell’accettazione. E’ la divisa che rassicura l’interlocutore. E che permette a lui, con le ossa rotte dal sedile della Mercedes, di dimenticare la fatica del sonno, la preoccupazione di avere improvvisamente bisogno dei servizi.
Pratica ogni giorno la fuga verso luoghi a lui apparentemente sconosciuti. Viaggia in autobus oppure in metropolitana. Sceglie le stazioni di arrivo lontane dai quartieri più noti: quello del lavoro, dell’ultima residenza e dell’infanzia. La scala mobile della metropolitana si affaccia a una momentanea resurrezione: un nuovo inizio in un luogo sconosciuto. Al quale il Gps del senza tetto, parigino di lunga data, dà un nome e una cornice di riferimento nell’immediatezza di un movimento del capo.

La strada, un fallimento.
E’ un fallito, l’ispettore del fisco impossibilitato a pagare affitto e bollette. Un nomade urbano vagante per luoghi rassicuranti ma socialmente estraneo. Scrive ma non pubblica. Si aggiunge ai gruppi di sedicenti artisti dispersi per la città. Rifiuta una nuova vita con una compagna che gli fa suonare il campanello del sentimento, nella versione sbiadita di un ricordo. La strada scava il buco dell’assenza. Dell’assenza sociale.
A garantire la presenza sociale è soprattutto il lavoro. Lo è stato e lo è anche per lui, per il maledetto dalla penna senza pubblicazioni, per lo scrittore da bar ai limiti del nomadismo e alcolista seppure nei ranghi dell’accettabilità.
E il ricordo che definisce il personaggio è il lavoro. Che cita con discrezione. E’ l’attività che gli ha mostrato la società e la socialità da un punto di vista particolare. Ma l’angolo della vita dal quale si è aperta la visione sociale ha mostrato forme e modalità prevedibili nella loro quotidiana tristezza. “Per raccontare una vita bastano in fondo poche parole, anche se non è una grande scoperta; in fin dei conti non c’è molto da dire.”
Una vita dedicata alla ricerca sociale, fortemente debitrice alla letteratura e alla scrittura, e Marc Augé incide sulla pietra per mano del suo personaggio un punto fermo senza possibilità di ritorno.
Maledetto dalla penna realistica quanto cinica, il personaggio mette le mani nella intricata matassa dei concetti di appartenenza, di luogo, sicurezza sociale. In una parola: casa.

” Richiedono invece più tempo le incertezze riguardo al presente e all’imminente futuro”, sempre lo scrittore Marc Augè.
E ancora: richiede più fatica e accortezza la condizione di lavoratore senza tetto.
Lavoratori senza dimora.
Esercizio letterario di valore, il diario dell’ispettore del fisco senza fissa dimora. Che anticipa il tema di grande attualità del concetto di appartenenza collegato allo spazio di vita personale, al luogo dignitoso e definito dove ci si possa ritirare nel silenzio di se stessi.
E’ il primo dei diritti. Diritto alla vita privata. Nel tracciato del diritto alla casa.

Datato 2011, il diario è quasi un’inchiesta giornalistica travestita da etnofiction.
Il rapporto con lo spazio, il rapporto con i servizi per la cura della persona, le relazioni sociali rarefatte, l’essenzialità della narrazione, l’angoscia sedata in nome di una solitudine obbligata: un terreno magmatico nel quale affondano le gomme delle biciclette che spuntano da sotto i giacigli di cartone della notte, dalle case occupate e da quelle con i muri fatiscenti ma ancora capaci di riparare dal freddo.
L’ispettore del fisco ha raggiunto l’illusorio obiettivo dell’autonomia economica dopo una vita di lavoro: la pensione. I nuovi poveri al lavoro spesso non hanno dimora, niente muri e nemmeno la vecchia Mercedes sulla quale dormire. Qualche volta uno scampolo di pavimento in affitto. E un lavoro con uno stipendio basso. Per guadagnarlo devono lavorare un numero maggiore di ore rispetto a quelle indicate sul contratto.
Fai finta di pagarmi e io faccio finta di lavorare: un gioco che non vale più, sempre che da qualche parte della terre emerse mai sia valso.

E questo è il tempo presente. Italia del nord, 2024.
Lavoratori migranti e non solo. Bentornati a bordo. Dopo la Parigi di Marc Augé.

 

 

 

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