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Samuel Costa si racconta, ripercorre i ricordi dall'infanzia, alle scelte artistiche e i progetti futuri In evidenza

Samuel: "Sono fuggito da Milano, mosso anche dalla riscoperta della mia città".

Samuel Costa oggi rappresenta tante cose tutte insieme. Un’infanzia vissuta nei quartieri popolari all’ombra della ciminiera, sotto quella ciminiera (Me ne batto r’belin), il suo celebre pezzo musicale che racconta la spezzinità, a respirare la vita degli ultimi e l’importanza della contaminazione con altre comunità.

La Comunidad è un esempio recente di un racconto fotografico che va in questa direzione. Oggi non è più Samuel Heron ma Samuel Costa, a certificare la fase della sua maturità artistica che lo ha portato ad abbracciare la fotografia e a passare dal rap al cantautorato.

“Mi ha punto un serpente” è il nuovo pezzo della tua produzione. Senza girarci troppo intorno: chi è il serpente e perché ha punto proprio te?

Comprendo la cattiveria nella sua forma più cruenta, animalesca, istintiva e se pur brutale… vera. È Invece l’aspetto subdolo della malignità ad essere per me ripugnante, quando quest’ultima è pensata, quando è celata dietro a furbesche azioni, insomma proprio quando striscia e chi meglio dei serpenti è maestro in questo!

Oggi sei Samuel Costa. Una nuova stagione della tua vita artistica. Samuel Heron lo hai dimenticato definitivamente?

No (ride) ogni tanto si palesa fino a prendere il sopravvento, ogni tanto invece riesco a tenerlo a bada, ma ti dico la verità, non penso se ne andrà mai. È un disequilibro assolutamente vitale per la mia creatività.

Una parte della tua vita artistica ha trovato forma di ispirazione a Spezia, immerso nei quartieri popolari e in mezzo ai panni che stesi alla finestra danzavano mano nella mano con il vento. Poi è arrivata Milano, per misurarti con un’altra realtà e trovare l’affermazione artistica. Da qualche mese il ritorno. Come hai trovato la città? È sempre quella di quel lontano 2002 (l’anno del tuo inizio) o la trovi diversa?

Sono fuggito da Milano nell’agosto del 2020 senza troppi ripensamenti, so essere molto drastico nelle mie scelte. Mosso anche dalla riscoperta della mia città, cambiata, fiorita, piena di ciò che stavo e sto tutt’ora cercando.
Consiglio spesso ai giovani, quando dici la parola giovane vuole dire che non lo sei più, di rimanere geograficamente saldi alla propria terra, credo fortemente che non sia più necessario cercare fortuna unicamente altrove.
Ad oggi ci sono tutti i mezzi e gli stimoli per poter costruire ciò che si desidera in campo creativo, musicale… Anche in provincia e in una città come La Spezia.

La tua produzione, musicale e artistica, si caratterizza assumendo una posa dissacrante e attenta alle questioni sociali. Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?

Chi mi conosce nel privato, sa quanto io possa essere dissacrante, adoro accendere focose discussioni addentrandomi nelle tematiche più scomode mescolandole con Whiskey e urla, mi piace entrare in scena e rendere teatrali le idee, figurati se nella musica mi trattengo! Comunque non ho messaggi da mandare, penso che le mie stesse azioni siano le dimostrazioni più grandi del mio pensiero.

La Comunidad è il tuo ultimo lavoro artistico. Una raccolta fotografica che parla della forza della tradizione. Di quale tradizione parli? E perché hai deciso di soffermarti proprio sulla comunità Dominicana?

Sono cresciuto a metà, tra la mesciua ed il platano fritto, tra il cantautorato ligure ed il merengue dominicano, non potevo non raccontare questo peculiare aspetto. La città, La Spezia, vive questo dualismo incredibile, una ricchezza che andava per forza resa visibile, quindi ho imbracciato la mia macchina fotografica ed il mio immancabile flash, ed ecco qui che dopo quasi due anni tutto ha preso vita. Il reportage è diventato poi un libro composto da due volumi, anzi proprio due album fotografici! Quelli che si usavano una volta per raccogliere le foto delle vacanze… Contengono complessivamente ottanta scatti, che sono in realtà solo una piccola parte delle foto realizzate.

Il progetto “LA COMUNIDAD” è stato pubblicato sui più importanti magazine italiani e dominicani, accendendo così un potente faro di curiosità sia sulla comunità dominicana ma soprattutto sulla città, La Spezia, che gode di questo aspetto socio-culturale unico e prezioso. Inoltre abbiamo prodotto e realizzato, per adesso, due mostre, la prima con la relativa inaugurazione a La Spezia e la seconda a Milano nello spazio espositivo di Asian Fake.
Anche se assai impegnativo, non c’è niente da fare, le foto stampate restituiscono il giusto valore!

Il tuo rapporto con i tattoos emerge in maniera ricorrente all’interno delle tue fotografie e dei tuoi video. Perché è così importante per te?

Già alle scuole medie immaginavo di tatuarmi sul viso e assillavo mia mamma con questa idea malsana… Non so, è viscerale, è ancestrale, se vedo un flash su una tavola o un pezzo addosso a qualcuno mi emoziono.
Ho studiato tanto i tattoos, ho un sacco di amici tatuatori, sono attratto dal loro mestiere artigianale, dalla loro ricerca, dalla loro capacità di custodire e tramandare il sapere. Ho tante storie tatuate addosso, amori passati, sofferenze, vittorie, e perché no, anche qualche schifezza goliardica che ho necessità di raccontare anche in questa dolorosissima modalità.

Quale sarà, se c’è e se lo puoi raccontare, il tuo prossimo progetto? La musica e la fotografia avranno il solito spazio nella tua nuova vita artistica o una preverrà sull’altra?

Probabilmente ogni tanto uno dei due aspetti acquisirà più spazio, ma ormai sento serenamente che questi binari possano andare in parallelo e anzi, che siano essenziali l’uno per l’altro.
Con le immagini riesco a descrivere cose che con le parole proprio non avrebbe senso fare, e viceversa… In ogni caso di idee, ahimè, ne ho anche troppe, che siano fotografie, canzoni… O chissà cos’altro!

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