La scomparsa del mitico calciatore Paolo Rossi, che colorò d’azzurro i Mondiali del 1982 con sei marcature importantissime in quella edizione, ha riportato alla mia mente una piccola vicenda spezzina, una sorta di commedia all’italiana accaduta nella nostra città proprio la sera della finale del Santiago Bernabeu dell’11 luglio di quell’anno ormai lontano, ma indimenticabile.
Ci fu infatti un piccolo gruppo di cittadini spezzini che riuscì a perdersi praticamente tutto il primo tempo della finale dei Mondiali, per un curioso episodio di litigi fra innamorati: ed io ero tra questi.
Il racconto parte dall’invito di un gentile e buon residente del mio quartiere che aveva deciso di seguire le partite con alcuni di noi vicini in casa sua: l’idea gli venne dopo il deludente girone di qualificazione, dove i tre tristi pareggini della Nazionale delusero tutti; per invertire la tendenza, come ci disse l’amico, ricevemmo questo invito ed andammo da lui, per la temuta partita con l’Argentina di Maradona, piuttosto pessimisti.
Ma in quell’incontro vincemmo 2-1, ed a questo punto il nostro ospite, che era generoso e superstizioso, volle invitarci anche per le partite seguenti, rigorosamente seduti nella stessa posizione: chi sul divano, chi al tavolo del soggiorno...
Così ci ritrovammo, da lì a pochi giorni, per quel partitone epocale con la corazzata brasiliana di Falcao e Zico, che Paolo Rossi affondò con tre golletti favolosi.
In quella partita straordinaria, come ogni appassionato di calcio sa, sul 3-2 - a pochi istanti dalla fine- Zoff fermò una palla sulla riga, e a quel punto il padrone di casa ebbe veramente un mezzo malore, si inginocchiò sul pavimento, la mano al petto.
A quel punto la semifinale con la Polonia, dopo aver eliminato Argentina e Brasile, ci sembrò una formalità ed infatti passammo 2-0, con ancora due gol di Pablito. Venne così l’11 luglio 1982, la finalissima con i tedeschi della Germania Ovest.
Era una domenica, la partita prevista per le ore 20: la convocazione a casa del nostro uomo era per le 19, al fine di ingurgitare qualcosa di salutare (salumi, affettati vari e formaggi) per poi tifare Italia a stomaco pieno.
Verso le 19,30 si affacciò nel soggiorno la moglie del nostro amico. Annunciò che aveva appena telefonato l’ennesimo aspirante fidanzato della di lei sorella, nota per cercare marito con tenacia, ma decisamente di gusti complessi: così come già avvenuto in passato, la tipa aveva deciso di mollare il candidato con un due di picche in mano, scendere dalla macchina del tizio, e andarsene via, a piedi.
Bene, ma a noi ‘’checcenefrega’’, disse il nostro amico, cognato della protagonista della faccenda, e nostro ospite? Noi amici facevamo, naturalmente, il tifo per lui, manifestando un silenzio piuttosto vigliacco.
La moglie del nostro uomo fece però notare che la scena dell’abbandono e fuga della sorella era avvenuta non in una via cittadina, ma sulle alture della nostra città, sul monte Parodi, dove le coppiette, da quando è stata inventata l’automobile (probabilmente anche da prima, ma manca una evidenza storica) si vanno ad infrattare, distanti dai rumori urbani.
Aggiunse che non vi erano mezzi pubblici per il ritorno, e che lo spasimante non si poteva avvicinare pena lancio di sassi e pigne, e che a breve avrebbe fatto buio.
Nei nostri animi si sviluppò un dramma istantaneo. Non avremmo mai e poi mai potuto gridare ciò che tutti noi avvertivamo nel nostro animo (‘’MACHISSENEFREGADITUASORELLA’’) ma non era possibile evitare un intervento di recupero: come avremmo potuto seguire la finalissima del Mundial 1982 con la padrona di casa che, in un tempo senza cellulari, era in ansia per la sorella vagante per il Parodi?
Così, in un lampo ragionammo che, mancando ancora una ventina di minuti all’inizio del match, era necessario correre subito al recupero della signorina, e ritornare al volo, certi di perdere minuti preziosi ma, insomma, non troppi...così, corremmo in quattro alla macchina, quasi senza parlare, e via per le strade deserte della nostra città (fu una straordinaria visione: il centro era vuoto, vuotissimo- altro che lockdown; ricordo solo di aver notato un signore anziano con un cagnetto al guinzaglio, più o meno all’angolo fra corso Cavour e viale Garibaldi).
Giunti al Parodi in pieno controsterzo, stile rally, era nel frattempo iniziato l’incontro di calcio fra Italia e Germania: trovammo subito, naturalmente, la gentile fanciulla che, appunto, desiderava solo essere rintracciata, e la gettammo letteralmente in macchina.
Quando tentò di spiegare i motivi del gesto (dopo avere preso informazioni su nostri eventuali legami sentimentali), il cognato -che guidava sulla strada piena di curve come se fosse in rettilineo- non le rispose neppure, e mi chiese di alzare il volume per sentire (almeno) la radiocronaca: fu a metà strada del ritorno che ascoltammo infatti la cronaca del rigore sbagliato da Cabrini, che si prese, anche dagli juventini del drappello, i suoi bravi insulti assortiti e molte pesanti insinuazioni sui gusti sessuali.
(Lo so, lo so: è un po’ una cronaca machista, ma correva l’anno 1982 e non eravamo poi molto politically correct, anzi.)
Arrivammo sotto casa dell’amico, la macchina venne in pratica abbandonata in mezzo alla strada, con le gomme fumanti ed il motore spremuto; salimmo in soggiorno e riprendemmo le nostre posizioni; mentre la fuggitiva ritrovata con la sorella (padrona di casa) -e se ricordo bene anche il povero pretendente, giunto nel frattempo- si radunarono in lacrime in un’altra stanza, per segare l’atomo in sei e discutere le dinamiche dell’amore.
Noi invece, ancora pieni di adrenalina, riuscimmo a recuperare un po’ di fiato durante l’intervallo della partita, e per fortuna il secondo tempo riuscimmo a godercelo tutto per intero, in particolare esultando come pazzi proprio in occasione del primo gol di Rossi, sesto centro personale in quel Mondiale e sesto consecutivo nel tabellino dell’Italia.
Non ho la più pallida idea del destino matrimoniale della fuggitiva, alla quale -tutto sommato- a distanza di 38 anni abbiamo revocato anche le moltissime maledizioni, gli anatemi, le determine di disgrazie assortite che le lanciammo allora (cognato compreso, anzi lui ideatore dei peggiori auspici) in quel folle viaggio per il suo recupero, fatto violando ogni limite di velocità ed ogni regola stradale, considerando la desertificazione della città, in una serata che fu, per molti aspetti, irripetibile.
La morte di Pablito, un calciatore che in quell’estate 1982 regalò tanta gioia a tutti, ha consegnato un grande e trasversale dispiacere, ed ha risvegliato anche questo ricordo curioso: certamente noi quattro, dentro quella macchina in folle corsa per la città, fummo fra i pochissimi italiani (e spezzini) a non seguire l’inizio di quello storico incontro di finale, così glorioso per i nostri colori e nei nostri ricordi comuni.