Acciughe, Triglie, palamite, sardine, sgombri e muscoli nostrani, accompagnano l’estate ligure dai banchi del mercato ai ristoranti, ma vincoli restrittivi per i pescatori locali e la concorrenza pesce straniero, fanno registrare a livello nazionale che sono esteri quasi 8 pesci su 10, che giungono sulle tavole, spesso ad insaputa degli stessi consumatori, soprattutto a causa della mancanza dell’obbligo dell’indicazione di origine sui piatti consumati al ristorante, che consente di spacciare per locali prodotti provenienti dall’estero che hanno meno garanzie di qualità.
E’ quanto riporta Coldiretti Liguria in occasione del 'Fish Dependence Day', in Italia scattato ad inizio aprile, una data che identifica simbolicamente la fine di pesce, molluschi e crostacei da approvvigionamento interno e l'inizio delle importazioni e della dipendenza dal pesce estero, fino a fine anno.
Nei mari italiani si pescano ogni anno circa 180 milioni di chili di pesce cui vanno aggiunti gli oltre 140 milioni di kg prodotti in acquacoltura mentre le importazioni dall’estero hanno ormai superato il miliardo di chili, secondo un’analisi su dati Istat relativi al 2018. Una situazione che lascia spazio agli inganni dal pangasio del Mekong venduto come cernia al filetto di brosme spacciato per baccalà, fino all’halibut o la lenguata senegalese commercializzati come sogliola.
Una frode in agguato sui banchi di vendita in Italia e soprattutto nella ristorazione dove non è obbligatorio indicare la provenienza. Tra i trucchi nel piatto più diffusi in Italia ci sono anche il polpo del Vietnam spacciato per nostrano, lo squalo smeriglio venduto come pesce spada, il pesce ghiaccio al posto del bianchetto, il pagro invece del dentice rosa o le vongole turche e i gamberetti targati Cina, Argentina o Vietnam, dove peraltro è permesso un trattamento con antibiotici che in Europa sono vietatissime in quanto pericolosi per la salute.
“Per non cadere in inganni pericolosi per la salute - afferma la Responsabile di Coldiretti Impresa Pesca Liguria Daniela Borriello - occorre garantire la trasparenza dell’informazione ai consumatori dal mare alla tavola estendendo l’obbligo dell’indicazione di origine anche ai menu dei ristoranti con una vera e propria ‘carta del pesce’. Mangiare pesce fa bene, ma bisogna anche avere la certezza che il prodotto acquistato sia di qualità. È quindi importante avere ben chiare delle regole base per saper riconoscere la freschezza del pesce: ad esempio che la carne abbia una consistenza soda ed elastica, che le branchie abbiano un colore rosso o rosato e siano umide e gli occhi non siano secchi o opachi, mentre l’odore non deve essere forte e sgradevole. Per molluschi e mitili, è essenziale che il guscio sia chiuso, mentre per i gamberi serve verificare che non abbiano la testa annerita. Meglio, infine, non scegliere i pesci già mutilati della testa e delle pinne.”
“Per un prodotto come il pesce – affermano il Presidente di Coldiretti Liguria, Gianluca Boeri il Delegato Confederale Bruno Rivarossa - è sempre meglio preferire quello locale a miglio zero, venduto direttamente dai pescatori verificando, anche sul bancone, l’etichetta, che per legge deve prevedere l’area di pesca (Gsa), dove ad esempio quella ligure è identificata dalla dicitura Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno). Questo sia per avere a disposizione un prodotto sano e fresco, che non ha dovuto percorrere lunghe distanze per raggiungere le nostre tavole, sia per sostenere il settore ittico locale, che rappresenta un comparto economico importantissimo per la nostra regione. Un’ulteriore garanzia di trasparenza per il consumatore e una tutela aggiuntiva per il lavoro delle nostre imprese sarebbe, a nostro avviso, l’introduzione di un marchio volontario ligure, che identifichi inequivocabilmente il pesce della nostra costa.”