Viviamo momenti di angoscia, nutriamo desideri di speranza, siamo interpellati dalla concretezza della nostra esistenza. In tutto ciò l'esperienza dei primi discepoli diventa per noi vitale, essenziale, fondante la nostra fede nella resurrezione di Cristo e pertanto capace di generare speranza. Sia pur nella diversità delle varie narrazioni, tutti i testimoni sono concordi nell'affermare che Gesù, crocifisso, è ritornato in vita, ma non alla vita di chi dovrà inesorabilmente ancora morire. Con la sua morte e risurrezione, Cristo ha aperto la storia ad una eternità nuova. Offrendo al Padre se stesso in sacrificio di salvezza, porta su di sé i nostri peccati, sconfigge l'autore e le tenebre del male, ci dona una vita nuova: ci rende figli di Dio. Insieme vogliamo però soffermarci su tre gesti che, fra i molti da Lui compiuti, manifestano la novità di questa vittoria e che, nella loro concretezza e verità, sono capaci di segnare l'esistere e l'agire di ognuno di noi.
Cristo Vince offrendo il perdono ai suoi crocifissori: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno" (Luca 23,34). La misericordia infatti, se da una parte ci libera e ci preserva dai vincoli dell'odio dall'altra trasforma le nostre relazioni personali e le umanizza in modo profondo e sempre nuovo. Se siamo dunque frutto del perdono di Cristo non possiamo non sentirci interpellati a vivere personalmente l'offerta del perdono ad ogni fratello, nella concretezza delle nostre azioni quotidiane.
Vince effondendo il dono dello Spirito: "Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito" (Giovanni 19 – 30). Non si può parlare di autentica novità di vita se non si realizza una reale conversione del cuore. Ma questa conversione è frutto del dono dello Spirito Santo che permette il realizzarsi dell'annuncio del profeta Ezechiele: "Toglierò dal loro petto il cuore di pietra, darò loro un cuore di carne, perché seguano le mie leggi, osservino le mie norme e le mettano in pratica" (Ezechiele 11,19 – 20). Il richiamo alla necessità di orientare in modo nuovo la nostra esistenza, che l'apostolo Paolo rivolge ad ognuno di noi nel terzo capitolo della lettera ai Colossesi, è significativo: "Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo ..."; e con il richiamo anche la concretezza dell'agire è forte ed interpella ad una revisione vera del nostro vivere quotidiano: "... gettate via anche voi...: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni... Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo...". Dunque un autentico rinnovamento di vita, che deve toccare tutti noi. Dono di Dio e impegno personale di ciascuno si incontrano, fede creduta e vita testimoniata si esigono reciprocamente, sobrietà e semplicità vengono ad essere il primo ed essenziale luogo di testimonianza evangelica.
Vince anteponendo alla brutalità e alla violenza della scena di morte della crocifissione la tenerezza materna di Maria. Giovanni ce lo ricorda così: "Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé." Dal legno della morte nasce la vita, dall'albero della Croce fiorisce una maternità nuova e in quel "discepolo amato" tutti siamo stati amati e affidati a Maria. A Lei dobbiamo dunque ricorrere con sempre maggior fiducia e perseveranza; dobbiamo prenderla nella casa della nostra vita, e quando – come mamma – certamente inizierà a porre ordine nella nostra esistenza, richiamandoci, pregando per noi, ammonendoci in modo esigente ma maternamente affettuoso, dobbiamo lasciarla lavorare fino in fondo. Così Lei ci riporterà a Cristo chiedendo anche a noi quello che chiese ai servi, alle nozze di Cana: "fate quello che Lui vi dirà". Entriamo dunque insieme nel Mistero Pasquale di morte e risurrezione e facciamo memoria della vittoria di Cristo e della nostra salvezza. LasciamoLo vincere, non temiamo di accoglierLo con generosità nella nostra vita; non abbiamo paura di vivere l'Evangelo di salvezza, e l'esperienza della nostra fragilità non ci scoraggi nel nostro camminare. Il Signore è con noi "... tutti i giorni, sino alla fine del mondo". Lui non è venuto a cercare i giusti ma i peccatori per condurli a conversione; è venuto a rivelarci e donarci l'amore misericordioso del Padre. Cerchiamo dunque di avere l'umiltà di dire con l'apostolo Pietro: "Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene" (Giovanni 21,17) per poi sentire anche noi la voce del Maestro che sempre continua a dire "Seguimi".
La Spezia 31 Marzo 2013
Luigi Ernesto Palletti, Vescovo