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Carro (Cisl): "Sono ancora troppi coloro che nel 2018 hanno perso la vita sul lavoro" In evidenza

"Non posso esimermi dal ricordare a tutti noi che, tra le vittime del crollo del Ponte Morandi, hanno perso la vita due operai dell’azienda Amiu"

Oggi sono passati esattamente due mesi dai tragici fatti del ponte Morandi a Genova. Nel rivolgere il mio pensiero di vicinanza e affetto alle famiglie delle 43 vittime e a tutti gli sfollati della zona rossa, non posso esimermi dal ricordare a tutti noi che, tra quelle vittime, hanno perso la vita due operai dell’azienda Amiu, rimasti uccisi dal crollo del viadotto mentre si trovavano lì per motivi di lavoro. A tutti loro e alla nostra amata Genova rinnovo il cordoglio mio personale e di tutto il mondo del lavoro della Liguria e auspico che la Liguria dia esempio efficace al mondo della sua capacità di ricostruire non solamente un ponte ma l’anima di un’intera città, lacerata da una delle tragedie più incredibili e inaccettabili di questi ultimi anni. Ringrazio sentitamente l’Anmil, il suo Presidente e i suoi soci, per offrirci ogni anno l’opportunità di ritrovarci insieme per fare memoria e riflettere sulla piaga delle persone vittime degli infortuni sul lavoro: le giornate nazionali come quella odierna sono occasione di progresso civile per le nostre comunità che, sovente, archiviano molto rapidamente i fatti e i fenomeni connessi agli infortuni dei lavoratori, lasciandoli in un angolo remoto della propria quotidianità e del proprio vissuto fino a quando per alcuni, purtroppo, questa particolare forma di tragedia non dovesse toccare più da vicino i propri affetti o la propria persona.

Questa particolare forma di oblio che colpisce il tema degli incidenti sul lavoro potrebbe scaturire dal bisogno di proteggere se stessi dalla drammatica verità di come percepiamo incomprensibile che la propria vita sia irrimediabilmente segnata o, addirittura, spezzata talvolta per il solo essersi banalmente recati e impegnati sul proprio posto di lavoro. E’ talmente violento il segno che un infortunio imprime nell’intimo di ciascuno di noi che per tutti coloro che fortunatamente non ne fanno esperienza può diventare più sopportabile dimenticarsene e continuare così la propria quotidianità. Riunirci insieme e fare esperienza collettiva di questo grave problema sociale, come adesso stiamo facendo qui insieme, è sicuramente positivo e può favorire il cammino per la diffusione capillare di una rinnovata cultura della prevenzione e della diminuzione del rischio prima e del danno successivamente negli ambienti in cui esercitiamo la nostra attività lavorativa. Cultura è infatti la parola chiave e lo strumento che può aiutare l’Italia e l’Europa a trovare una risposta e una soluzione al problema degli infortuni. Cultura che non desidero intendere come bagaglio di nozioni e di regole ma come tessuto connettivo che permea e solidifica il vissuto, il pensiero e le azioni di ogni lavoratore e di tutti nell’organizzare il proprio lavoro, gli ambienti a questo dedicati e le relazioni tra persone con le quali esso si svolge.

I dati dell’Inail ci dicono che nei primi mesi del 2018 l’andamento degli incidenti sui posti di lavoro è complessivamente calato di un lieve 0,3%, con un tasso di miglioramento più sensibile se consideriamo solamente le lavoratrici di sesso femminile per le quali il calo si attesta all’1,2%. Non possiamo dirci confortati, non possiamo dichiararci soddisfatti: questo calo è troppo poco così come, d’altra parte, sono ancora troppi coloro che nel 2018 hanno perso la vita sul lavoro: ben 587 persone tra gennaio e luglio di quest’anno. Non è solamente l’aspetto più estremo delle morti sul lavoro che deve farci riflettere. Esiste anche il tema delle malattie professionali: un altro fenomeno drammatico dell’insufficiente attività di prevenzione. Basti citare un solo esempio che ci riguarda molto da vicino: l’esposizione all’amianto e la recrudescenza del mesotelioma pleurico che vede alla Spezia tassi di incidenza ben oltre le soglie di ogni dato statistico regionale e nazionale. Su questo aspetto i numeri non sono solamente sconfortanti, ma impressionanti. Tutta la vicenda dell’amianto è paradigmatica di come cultura, conoscenza, precauzione, innovazione e investimenti per la sicurezza sul lavoro siano alla base del nostro agire per una efficace stagione della prevenzione; atteggiamenti e modelli che infatti, nei decenni scorsi, sono colpevolmente mancati e che oggi ci consegnano una città tra le più esposte in Italia a questa letale malattia. Se avessimo inaugurato prima e più convintamente una vera attività di diffusione della cultura della prevenzione, probabilmente avremmo potuto arginare di più e meglio la diffusione del mesotelioma, perché “sicurezza e conoscenza”, “sicurezza e consapevolezza”, “sicurezza e investimenti” sono, nei fatti, tutte facce di una medesima medaglia. Le organizzazioni sindacali lo scorso 1° maggio hanno unitariamente dedicato la Festa dei lavoratori al tema della sicurezza e della prevenzione degli infortuni: Cgil, Cisl e Uil hanno inteso gridare alle coscienze del Paese e di ciascun cittadino come anche un solo lavoratore morto a causa del suo stesso lavoro sia un insulto sfacciato a quell’articolo 1 della Costituzione che tanto amiamo e vogliamo tutelare. Questa scelta è stata raccontata da qualche commentatore superficiale come banale esercizio di retorica sindacale quando invece, se si fosse dedicata più analisi e più approfondimento, si sarebbe potuto comprendere bene che occasioni di massa come il 1° maggio o come altre che costellano il calendario, devono essere sempre di più sfruttate per favorire quella diffusione di messaggi positivi, educativi e culturali che concorrono alla creazione di un clima e di un contesto generali favorevoli allo sviluppo di politiche e di buone pratiche per una migliore prevenzione degli infortuni sul lavoro. Quando poco fa ho richiamato tutti noi a una maggior diffusione della “cultura della prevenzione” pensavo al ruolo decisivo che la Scuola può effettivamente esercitare perché l’innovazione, la diffusione delle competenze e delle conoscenze in materia di prevenzione degli infortuni possano effettivamente irrobustire carattere, pensiero e personalità di ogni cittadino lavoratore italiano ed europeo. Ma tutto questo senza una profonda e sincera “passione” per il lavoro, senza che il cuore muova un sentimento di amore e di desiderio affinché il nostro impegno lavorativo sia davvero il fondamento e l’espressione della nostra dignità personale, sarà molto difficile che regole, leggi e disposizioni possano arginare il fenomeno degli infortuni. La scuola che concorre plasmare gli uomini e le donne del nostro domani può aiutare la società italiana a suscitare quella passione e quell’amore per il buon lavoro che tanto serve ai destini del nostro Paese. Le Istituzioni e tutti quei lavoratori che sono preposti alla vigilanza, alla prevenzione e alla repressioni di tutti i fenomeni che possono indurre la piaga degli infortuni (penso all’Inail, agli Ispettori, alle Asl ecc.) hanno il grande ringraziamento e il profondo riconoscimento di tutti noi. Nel loro agire si impegnano in condizioni proibitive: scarsità cronica di risorse, scarsità di personale, procedure farraginose... nonostante tutto ciò, costoro danno il massimo e i numeri del loro impegno quotidiano ce lo dimostrano. Da soli, però, non potranno mai farcela! Senza quell’apporto culturale e diffuso che nasce dalla scuole, senza un impegno dei media nel richiamare la società ai modelli di buon lavoro sicuro e dignitoso, senza quel sentimento collettivo convinto e risoluto che la piaga degli infortuni può e deve essere estirpata, senza tutto ciò le Istituzioni da sole non potranno vincere questa battaglia. Proprio perché questi sentimenti siano nuovamente ispirati e diffusi, l’Anmil organizza e promuove giornate come quella di oggi: perché ciascuno rifletta e si convinca che, come in un mosaico ideale, ogni cittadino di questo Paese è una tessera di quel disegno nobile che fonda per davvero l’Italia sul lavoro e sul diritto alla vita, al benessere e alla felicità di ognuno, particolarmente perché lavoratore. Anche così onoreremo l’art.1 della nostra Costituzione e la meravigliosa intuizione che ebbero i nostri Padri costituenti nel declinare il lavoro a fondamento dell’Italia. Desidero concludere queste mie riflessioni porgendo un abbraccio ideale a tutte le famiglie che piangono un proprio caro scomparso sul lavoro, a tutte quelle persone che vivono con menomazioni e limitazioni provocate da un incidente verificatosi durante la loro attività lavorativa. Il mio abbraccio è certamente solidale ma anche intriso di ringraziamento perché la loro testimonianza, drammaticamente provocata dall’aver attraversato il dolore di un infortunio, può e deve ricordarci, in ogni momento, che l’impegno serio e concreto per un lavoro sicuro e sereno è un imperativo categorico e imprescindibile per la coscienza di ognuno di noi.

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