Monsignor Rebecchi, con quale animo la diocesi accoglie oggi il nuovo vescovo ?
«Con cuore aperto. "Cuore aperto" vuol dire che questi otto mesi senza il pastore hanno contribuito ad accentuare la necessità della presenza del vescovo per la Chiesa locale: una necessità che non è data semplicemente da una presenza che dà lustro alle celebrazioni, ma da quella presenza, che prendendoci per mano, ci porta a guardare a Cristo, Signore del tempo e della storia. È significativo che l'ingresso avvenga la prima domenica di Avvento. La Chiesa dice a se stessa ed al mondo che la vita va vissuta in un'attesa. Non un'attesa generica, ma della persona di Gesù, che deve venire ma che è già presente. Il vescovo alimenta in noi il desiderio di questa persona, aiutandoci a vivere la fede come esperienza di un "già", anche se non ancora in pienezza».
Quale valutazione dà dell'esperienza di questi mesi come amministratore diocesano ?
«Questi otto mesi sono stati belli ed impegnativi. Belli perché ho visto ancor più da vicino la nostra Chiesa locale, con le sue ricchezze che sono tante, e con le sue fragilità. Ho visto, anche se ne ero già a conoscenza, l'impegno dei nostri preti a servizio della nostra Chiesa con fedeltà e con generosità, molti laici che collaborano a livello parrocchiale e diocesano e i giovani che si sono impegnati come animatori nei campi estivi e nelle realtà locali in diversi servizi. Guardando a così tanti segni, possiamo ringraziare il Signore di essere nati e di vivere in questa Chiesa, attraverso la quale ci viene la misericordia di Dio».
Quali sono le priorità pastorali che, anche alla luce della sua esperienza, ritiene di indicare al nuovo vescovo ?
«La priorità di una Chiesa e di un pastore è far crescere la fede più forte e sempre più bella. Questa priorità è legata alla pastorale, cioè all'azione di evangelizzazione che una comunità cristiana è chiamata a compiere. Essa si svolge attraverso degli strumenti umani necessari: i presbiteri. La diocesi, che ha circa centottanta parrocchie e circa cento preti, ha visto in questi mesi alcune comunità religiose presenti da tempi diversi lasciare la nostra Chiesa. Questo ci fa toccare con mano ancora una volta la nostra povertà. Una priorità è il bisogno di vocazioni e, come già monsignor vescovo diceva il 4 novembre scorso a Genova, la necessità della preghiera per impetrare questo dono. Non dobbiamo dimenticare che le vocazioni non sono un problema solo del vescovo o dei presbiteri, ma di tutti i membri della Chiesa, uniti a lui in quest'opera ed in questa preghiera».
Giuseppe Savoca