Nello stesso tempo, però, quella luce si irradia su ogni uomo e interpella tutti, attendendo così una risposta personale da ciascuno. Infatti la scena che tradizionalmente rappresentiamo nel presepe deve condurci dentro al mistero e permetterci di fare come un salto a ritroso, nel tempo e nello spazio, in quella notte santa abitata dai pastori, allietata dal canto degli angeli e resa ancor più significativa dal silenzio di Maria che contempla e custodisce nel suo cuore il mistero della nascita di Gesù.
Tutto questo non ci strappa però dalla nostro presente, anzi ci permette e ci chiede di viverlo con una intensità sempre maggiore. La scena del presepe non diventa, dunque, per noi una semplice rappresentazione del passato, ma la memoria di un evento che, se storicamente è avvento ormai duemila anni or sono, ha segnato però la nostra storia bimillenaria. Inoltre non dobbiamo dimenticare che, proprio nella sua predicazione, lo stesso Gesù di Nazaret ha fatto ai suoi una promessa: «ecco, io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28, 20). Una delle tangibilità dell'adempiersi di tale promessa l'ha voluta offrire proprio nella dimensione dell'attenzione al fratello. In questo modo, contemplando il mistero del Natale, siamo subito proiettati nel presente; nell'incontro con l'altro; nel farsi prossimo con ogni uomo. Certo la fede gioca il primo posto in tutto questo, ma anche la nostra attenzione non deve venire meno.
A tal proposito, in questi giorni ho avuto la possibilità e la gioia di visitare una buona parte di luoghi di lavoro, di piccole e medie imprese, incontrando le persone che vi operano. Certo la crisi purtroppo si fa sentire ancora con forza, ma anche quest'anno ho potuto constatare la ferma determinazione di continuare a camminare e, soprattutto, la consapevolezza della responsabilità non solo del singolo lavoratore, ma anche del fatto che dietro ad ogni persona vi sono nuclei familiari, relazioni umane, a volte situazioni difficili ed una marcata apprensione per il futuro. Qui si fa largo la parola del Vangelo: «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatta a me» (Mt 25, 40). La luce che a Betlemme ha indicato la nascita del figlio di Dio misteriosamente ci interpella e ci guida a nuove esperienze di solidarietà e vicinanza.
Nel contempo la scena della Natività diventa anche un richiamo ad una più profonda stabilizzazione della nostra vita. Come ho potuto più volte ribadire, soprattutto in questo periodo, dobbiamo ritornare ad apprendere e a vivere una sempre maggiore semplicità. Questo termine non dev'essere confuso, quasi fosse sinonimo, con il termine facilità. Semplice indica una realtà nella sua "essenzialità" . Ora, tutti ci troviamo a dover affrontare quotidianamente situazioni complesse e spesso con risposte che hanno necessariamente una loro complessità. Il pericolo è che proprio questa complessità penetri fino nel più profondo della nostra vita rendendoci così non più capaci di cogliere o vivere quelle relazioni e quei valori vitali nei quali quotidianamente siamo chiamati a ritrovare il senso più genuino della nostra umanità.
Lo sguardo attento alla Grotta potrà, così, introdurci in una semplicità nuova. La Sacra Famiglia con Maria e Giuseppe, il piccolo Gesù, il bue e l'asinello, i pastori... Pochi ed essenziali elementi, ma così ricchi di quell'attenzione e di quell'umanità che dobbiamo urgentemente ritornare a donarci gli uni gli altri, partendo proprio dalle cose più semplici e umili.
Sia questo l'invito e l'augurio più sentito che cordialmente desidero rivolgere ad ognuno. Nella luce della nascita del Figlio di Dio possa giungere a ciascuno quella pace che tanto hanno cantato gli angeli nella notte santa: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2, 14). (Monsignor Luigi Ernesto Palletti)