Venerdì a Cassego si è svolta la consueta Giornata sacerdotale di fine agosto. Alla presenza del vescovo emerito Bassano Staffieri e di un centinaio di sacerdoti, diaconi e seminaristi, il vescovo Luigi Ernesto Palletti ha anticipato le "Linee pastorali" che saranno pubblicate in una apposita nota.
Ha inoltre comunicato la nomina di monsignor Enrico Nuti a vicario generale (vedi articolo a parte) e gli eletti nel nuovo consiglio presbiterale. Presentando le "Linee Pastorali" per la prima volta da quando è in diocesi, monsignor Palletti ha premesso che esse non vanno interpretate come un progetto o un programma pastorale: esse vanno intese semplicemente come un "instrumentum laboris", uno "strumento di lavoro" per percorrere un cammino insieme. Non vogliono essere una risposta alla domanda sul cosa fare, quanto sul come fare. Il vescovo ha auspicato quindi un cammino percorso insieme nel segno della comunione, valorizzando gli apporti del nuovo consiglio presbiterale e di quello pastorale, in particolare il ruolo dei laici. Il vescovo ha quindi ricordato che l'identità di ogni cristiano è quella di essere discepolo di Cristo. Per questo siamo tutti in cammino dietro l'unico pastore, anche se con carismi diversi: «Dobbiamo quindi crescere come una Chiesa di "discepoli", anche se con responsabilità diverse. Nessuno, nemmeno il Papa, è successore di Cristo. Siamo semplici vicari e amministratori». L'essere discepoli implica tre passaggi: nei modi e nei tempi dell'umano (incarnazione), nella logica del Regno dei cieli (non è sufficiente l'impegno nell'organizzazione) e nel seno di una Madre, la Chiesa, che garantisca questo discepolato. La fede deve dunque diventare vita. Questo metodo va applicato a tutti i livelli della pastorale, diocesano, zonale, parrocchiale. Questi tre aspetti vanno realizzati in armonia tra loro. Ci deve essere infatti complementarietà, come tra le membra di uno stesso corpo. Un laico, ad esempio, non può svolgere la missione del prete. La pastorale deve seguire i tempi e i modi propri dell'uomo e non può prescindere dal contesto sociale. Papa Francesco, senza rinunciare alla verità, parla sempre dentro l'umano. «Il nostro stile di vita – ha detto il vescovo – si può esprimere in cinque parole: il volto interiore, l'incontro, la dolcezza, l'autenticità, il racconto». Il volto non vuol indicare la faccia, se non nella sua parte più intima, che è il volto interiore. Già prima di parlare noi comunichiamo con l'espressione del volto, ed è il primo momento di un incontro, che già determina il tipo di accoglienza. Così le prime parole di Papa Bergoglio alla folla: «Buonasera !». Oggi, purtroppo, con Internet si evita il volto dell'altro. All'accoglienza segue l'incontro, per realizzare una relazione, ed il modo è la dolcezza, che non vuol dire essere "melensi". La dolcezza non si inventa e richiede, come dice spesso il Papa, un cammino di ascesi (virtù della fortezza). Poi, l'autenticità, che vuol dire essere testimoni credibili che, anche se cadono per fragilità, ritornano a Dio chiedendo perdono. Tutti noi dobbiamo calare il Vangelo dentro la nostra fragilità. Pietro, caduto per la propria fragilità ("Non lo conosco"), si riscatta rispondendo al "Mi ami tu ?" di Gesù con il suo "Tu sai tutto, sai che ti voglio bene". Infine, il racconto. Il Vangelo non lo ha scritto Gesù, che ha accettato la logica dell'incarnazione affidandosi al racconto dei suoi discepoli (pur sorretti dallo Spirito Santo) e così sono nati quattro Vangeli con caratteristiche diverse tra loro. Oggi, ha concluso il vescovo, non basta annunciare il Vangelo utilizzando una esegesi corretta: è necessario calarlo nella storia, nella situazione presente nel nostro tempo. In particolare, il laico ha il compito di animare le cose del mondo e non di lasciarsi animare dal mondo.