Riceviamo e pubblichiamo la lettera condivisa da Rsu, Fim, Fiom, Uilm sulla Festa della Liberazione:
"Siamo giunti alla commemorazione del 76° anniversario della Liberazione, col perdurare di una pandemia secolare che ci mantiene in un costante stato di emergenza e limita, di conseguenza, il regolare svolgersi delle normali attività e non ci consente quindi di poter onorare questa data con la dovuta cerimonia alla presenza di tutti i lavoratori del cantiere.
Già lo scorso anno, nonostante fossimo in pieno lockdown, non abbiamo lasciato passare come se niente fosse una ricorrenza così importante come quella del 25 aprile e, seppur in modo puramente simbolico, abbiamo posto la tradizionale corona di alloro sotto la lapide commemorativa presente in cantiere ed il classico discorso è stato sostituito da un comunicato in cui si poneva l’attenzione, con tutte le dovute proporzioni, sul concetto di resistenza: all’oppressore nazi-fascista da una parte ed al virus dall’altra.
In questo anno che è trascorso, poi, ci è stato dato modo, nostro malgrado, di riflettere molto sui significati che la parola resistenza può assumere in tutte le sue innumerevoli sfaccettature: partendo dalla resistenza al virus ed alla terribile malattia che sta mietendo una enorme quantità di vittime, fino ad arrivare ad una sorta di resistenza economica per chi ha dovuto affrontare lunghi periodi di cassa integrazione o, ancora peggio, per tutte quelle categorie che non hanno potuto svolgere il proprio lavoro ed ottenere di conseguenza un salario perché “fermate” dal perdurare della crisi pandemica. Anche da un punto di vista mentale, dello stress e della difficoltà di organizzarsi in una situazione non agevole è stato ed è tuttora necessario resistere. Per non parlare di una declinazione del termine applicato alla verità nei confronti delle “fake news”, spesso create ad arte per strumentalizzare i vari problemi causati dalla pandemia e generare consensi.
Ma si potrebbe andare avanti ad oltranza ad elencare tutte le situazioni in cui il termine resistenza si è presentato come una costante che ha preso ad accompagnare le nostre attività quotidiane, a partire da quelle che consideravamo le più banali. Francamente pensavamo che quella dello scorso anno sarebbe stata una situazione unica e che già questo 2021 ci avrebbe consentito di poter tornare alla classica manifestazione con tutti i lavoratori e gli ospiti, magari con un nuovo format che consentisse un maggior coinvolgimento di questi ultimi o, perché no, che si arricchisse anche col contributo degli studenti.
Invece, purtroppo, non è così e paradossalmente la struttura per effettuare lo screening attraverso i tamponi, posta davanti alla lapide commemorativa, assume i contorni di una fotografia con un significato oltremodo simbolico della situazione che stiamo continuando a vivere. Anche per quest’anno quindi ci dovremo limitare a commemorare in modo simbolico il 76° anniversario della Liberazione e procedere con la semplice deposizione, da parte della RSU e dell’ANPI del Cantiere di Muggiano, della corona di alloro sotto la lapide “in memoria di tutti i caduti della guerra di liberazione, delle vittime della deportazione tedesca, dei morti delle guerre mondiali, dei caduti sul lavoro”. Ci sembrava un peccato però disperdere le testimonianze di quelli che sarebbero stati gli ospiti “in presenza” attraverso i propri interventi. Abbiamo quindi ritenuto opportuno riportare comunque, sebbene in forma scritta, i loro contributi arricchendo in qualche modo quello che sarebbe stato un semplice comunicato e rendendolo una sorta di documento condiviso con un significato molto più profondo, da mettere in qualche modo agli annali come una diversa forma di celebrazione della Liberazione e degli eroi della Resistenza.
Questo il messaggio della RSU FIM, FIOM e UILM del cantiere, in cui si pone l’attenzione sull’importanza della collaborazione internazionale e tra lavoratori, durante la resistenza come oggi, e sul contrapposto effetto deleterio e strumentale che hanno avuto e possono continuare ad avere le divisioni tra i popoli: Anche quest’anno l’appuntamento con quella che è, con il Primo Maggio, una delle più importanti celebrazioni laiche di questo Paese arriva in un momento difficile, a causa della pandemia. 2021 2 Il 25 aprile ci ricorda la fine della seconda guerra mondiale e la guerra, insieme alle pestilenze, simboleggia da sempre e senza ombra di dubbio, quanto di più spaventoso possa abbattersi sulle vite della razza umana. Le guerre sono purtroppo il prodotto peggiore delle divisioni tra gli uomini, divisioni che spesso sono conseguenza di antagonismi economici e politici: contrapposizioni che talvolta vengono radicalizzate divenendo oggetto di facile strumentalizzazione da parte delle élite al potere, fino a sfociare in confronto militare.
Eventi come le pandemie, che sono fenomeni naturali ed accompagnano gli esseri viventi fin dagli albori della propria esistenza, possono essere combattuti per mezzo di strumenti che sono prodotto della ricerca medica. È fondamentale però sottolineare come tale sviluppo scientifico sia, di fatto, un prodotto sociale che trae quindi giovamento dall’unità degli uomini e non dalle loro divisioni che, casomai, ne creano un ostacolo talvolta insormontabile. Queste divisioni, alimentate dal fanatismo nazionalista, dalla xenofobia razzista e dall’antisemitismo erano punti fermi del regime fascista in Italia e nazional-socialista in Germania. Basandosi su queste idee deliranti chi stava al potere ha soffiato sul fuoco della divisione per trarne profitto, producendo l’orribile incendio della guerra. La lotta partigiana, che noi celebriamo giustamente celebriamo come lotta di liberazione, ha liberato l’Europa dal gioco politico e militare di questi due regimi. Come ogni 25 aprile, onorando simbolicamente la lapide all’interno del cantiere, vogliamo ricordare tutti gli uomini e le donne che ebbero il coraggio di unirsi alla lotta partigiana.
Queste persone provenivano da ambiti molto differenti tra loro: c’erano operai (anche del cantiere di Muggiano), ingegneri, dottori, studenti universitari, tutti carichi del coraggio necessario per abbandonare tutto, talvolta anche una vita agiata, vivere in clandestinità ed “andare sui monti”. Tutto il mondo del lavoro era unito nella lotta partigiana con l’obiettivo comune, abbattendo il fascismo, di superare quelle divisioni che avevano prodotto due carneficine mondiali nell’arco di pochi decenni. A prescindere da ogni credo politico quelle lavoratrici e quei lavoratori ritenevano gli enormi sacrifici che stavano compiendo indispensabili per poter approdare ad una società senza contrapposizioni internazionali, società in cui le forze produttive, tra cui anche quelle scientifiche, avrebbero trovato il loro massimo sviluppo grazie alla collaborazione tra gli Stati.
Purtroppo con la fine della guerra non sono terminate tutte le contrapposizioni ma la sostanziale pace in occidente, conquistata, ricordiamolo ancora, anche grazie al sacrificio dei lavoratori che hanno partecipato alla lotta di liberazione, ha comunque contribuito ad una enorme crescita tecnica, medica e scientifica, in un clima di parziale interscambio, seppur con i limiti dovuti a logiche economiche votate al profitto ed alla concorrenza. Oggi la pandemia globale ci pone di fronte ad una nuova sfida che può essere affrontata grazie ai vaccini, prodotto della ricerca scientifica e tecnologica per l’intera umanità. Questa risposta, arrivata in tempi relativamente brevi, è la dimostrazione di come l’unione dei popoli attraverso il lavoro possa produrre risultati talvolta inimmaginabili. Quanto sia fondamentale la collaborazione internazionale è sottolineato dal commissario europeo Thierry Breton che afferma che “per fare un vaccino mRNA servono tra i 400 e i 500 componenti di natura diversa: non c’è alcun Paese al mondo che possa produrre da solo un vaccino”.
Colpiscono e quasi stridono quindi le dichiarazioni del tedesco Manfred Weber, capogruppo del PPE, in cui parla di “guerra dei vaccini” e “nazionalismo dei vaccini” ponendo l’attenzione sul fatto che, ad esempio, gli Stati Uniti abbiano bloccato le esportazioni di tali farmaci o sulle varie misure adottate in questo senso dagli inglesi, per non parlare della potenza cinese o della Russia. Viene dunque il sospetto che dietro la tanta informazione, a volte talmente contraddittoria da produrre scetticismo nell’opinione pubblica rispetto alle compagne vaccinali stesse, ci sia anche una vera e propria contro-informazione tesa a confondere e dividere per danneggiare l’avversario e poterne trarre un profitto. L’uso di un vaccino, così come del farmaco più comune, comporta l’accettazione di eventuali effetti collaterali, come riportato nelle avvertenze del “foglietto illustrativo”.
Viene da pensare che in tale scheda tecnica andrebbero aggiunte le battaglie politiche, la concorrenza industriale ed il circo mediatico. E allora, purtroppo, davanti allo spettacolo desolante di una “guerra alla pandemia” che invece rischia di diventare l’ennesima guerra tra le potenze, ognuna pronta ad impugnare come una clava il proprio vaccino o il proprio 3 contratto, dobbiamo ancora una volta constatare quanto sia ancora attuale quello che fecero i lavoratori e le lavoratrici che oggi ricordiamo, che lottarono contro il fascismo, universalmente e storicamente riconosciuto come simbolo di divisione, nazionalismo, xenofobia e suprematismo, sia razziale che economico.
Vogliamo infine ribadire che quella che fu la loro lotta deve essere oggi la nostra lotta, ovviamente con altri mezzi, perché le divisioni tra i popoli non prevalgano nuovamente, magari attraverso la strumentalizzazione della pandemia. Anche il Sindaco della Spezia Pierluigi Peracchini, con il suo gradito contributo, ha voluto da un lato esprimere l’amarezza per le mancate celebrazioni del 25 aprile in cantiere a causa del Covid-19, dall’altro sottolineare l’importanza del sacrificio dei lavoratori nella lotta per la Liberazione: È doloroso rinunciare per il secondo anno consecutivo, a causa dell’emergenza Covid-19, alle celebrazioni per il 25 aprile presso lo stabilimento Fincantieri di Muggiano, organizzato dalle RSU e dalla sezione ANPI del cantiere. Quello al Muggiano è sempre stato un appuntamento cardine per la nostra Città, perché questo cantiere è simbolo della storia del lavoro della Spezia, di lotte per i diritti e per la dignità del lavoro.
E una palestra di democrazia. Il dolore di non poter celebrare questo momento insieme, non farà passare sotto silenzio il ricordo dei cinque deportati dipendenti del cantiere a seguito dello sciopero del marzo 1944. I loro nomi, le loro voci, i loro ideali vanno scanditi a voce alta perché rimangano per sempre scolpiti nella memoria della Città della Spezia. Gli operai del Muggiano con le loro eroiche gesta e con una resistenza anche silenziosa ma potente che è stata coltivata negli anni della dittatura fascista, ben prima del 1944, ha consentito di far fiorire tutti quei valori che oggi sono scritti nella nostra Costituzione, bussola del nostro futuro: democrazia, uguaglianza, libertà. Il rischio più grande è che il Covid-19 diventi un alibi per l’assenza di partecipazione alle cerimonie pubbliche, e le istituzioni non devono né possono permetterlo. Non appena l’emergenza sanitaria sarà contenuta e speriamo superata, tutti gli appuntamenti nel calendario civile del nostro Paese e della nostra Città devono tornare nella loro puntualità e commossa partecipazione, perché la memoria deve essere continuamente esercitata affinché non abbiano a ripetersi le atrocità del passato.
Giorgio Pagano, co-presidente del Comitato Unitario per la Resistenza, ha infine sintetizzato la lotta dei lavoratori del Muggiano dal 25 luglio 1943 allo sciopero del marzo 1944, sottolineando ancora una volta l’importanza del ruolo dei lavoratori nel percorso che ha portato alla Liberazione: Il Cantiere aveva allora oltre 3500 dipendenti, costruiva sommergibili e zattere da sbarco, e faceva riparazioni varie. Il movimento antifascista, nonostante tutte le difficoltà e i pericoli, era sempre stato presente in fabbrica durante tutto il ventennio fascista. Il movimento acquistò più forza e fiducia dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943. Il 29 luglio si tenne a Spezia una grande manifestazione di gioia e di speranza, per la pace e la libertà: erano in gran parte lavoratori in sciopero, tra loro c’era la maggioranza dei lavoratori del Cantiere. Due operai vennero uccisi: furono i primi caduti della Resistenza spezzina.
Nell’agosto del ’43 i lavoratori del Cantiere elessero i rappresentanti sindacali dei singoli reparti, che nominarono a loro volta una commissione di tre membri. Il Partito Comunista riuscì a creare un’organizzazione capillare costituendo i gruppi clandestini con un responsabile in ogni reparto. In seguito fu costituito il Comitato di Liberazione Nazionale della fabbrica, presieduto dal comunista Giuseppe Tonelli, che operò in collaborazione con il socialista Mario Canale, il cattolico Armando Stretti, il repubblicano Ernesto Sommovigo e altri. Dopo l’8 settembre 1943 -l’armistizio e la fuga del Re e dei capi militari al Sud, liberato dagli Alleati- il Nord fu invaso dalla Germania nazista, con l’appoggio della Repubblica Sociale di Mussolini. Tra l’autunno del ‘43 e l’inverno del ‘44 nacquero, ai monti, le prime bande dei “ribelli”, come venivano chiamati, all’inizio, i partigiani. I tedeschi premevano perché aumentasse la produzione di guerra e instauravano il controllo militare nelle fabbriche per impedire ogni agitazione. Le condizioni alimentari dei lavoratori spezzini erano estremamente dure. Sopravvivevano solo perché erano anche contadini e coltivavano verdura nei loro piccoli orti. L’8 gennaio 1944 ci fu, al Muggiano, un grande sciopero, con rivendicazioni economiche. Un altro episodio dimostrò la maturità raggiunta dai lavoratori del Cantiere.
Fu rievocato in un testo del 1974 scritto da alcuni operai, Aldo Cozzani, Armando Isoppo, Soresio Montarese, Mario Pistelli e Guglielmo Scaravella: “I tedeschi, sentendo avvicinarsi il momento della ritirata, per timore di un improvviso sbarco alleato, fecero scavare profonde buche nei punti 4 nevralgici del cantiere, con l’intento di collocarvi delle mine e farle poi saltare prima della fuga allo scopo di distruggere tutti gli impianti. Gli operai, con la loro risoluta azione di protesta, rivolta ai dirigenti della fabbrica e ai tedeschi, riuscirono non solo a non far fare altre buche ma a far chiudere quelle già fatte”. Furono gli operai a salvare le fabbriche. Si giunse così allo sciopero del 1° marzo 1944. Fu uno sciopero deciso, all’inizio del ’44, dalla direzione del Partito Comunista, dopo aver consultato i rappresentanti dei comitati segreti di agitazione di Piemonte, Lombardia e Liguria. Le direttive non furono più semplicemente economiche ma anche e soprattutto politiche: contro la guerra, l’invasore tedesco e i fascisti, per fare cessare le deportazioni di uomini in Germania e bloccare la produzione. La decisione fu condivisa dal Comitato di Liberazione Nazionale, composto da tutti i partiti antifascisti. Nelle fabbriche delle tre regioni il lavoro si arrestò. Fu chiaro a tutti che si trattava di una battaglia gigantesca, di non minore importanza delle grandi battaglie militari della Resistenza.
Fu il più grande sciopero che si sia mai avuto nell’Europa invasa. Il 1° marzo gli operai del Muggiano entrarono in fabbrica e, alle 10, sospesero totalmente il lavoro, fino a sera, nonostante l’opera di persuasione e di intimidazione dei fascisti. Il 2 marzo gli operai trovarono la fabbrica presidiata dalla famigerata Decima Mas. Ma anche quel giorno fu sciopero. Cominciò la caccia a coloro che erano ritenuti responsabili della lotta. In fabbrica furono fermati e portati in carcere Mario Pistelli, Giuseppe Tonelli e Filippo Dondoglio, poi, a casa, nella notte tra il 2 e il 3 marzo, Armando Cialdini e Ubaldo Colotto. Furono deportati in Austria, nel campo di sterminio di Mauthausen. Solo Pistelli tornò vivo dall’inferno. Il 2 sera il CLN decise di cessare lo sciopero, che aveva raggiunto il suo obiettivo politico e rischiava ora di provocare molte vittime.
Dopo gli scioperi del marzo Hitler ordinò la deportazione nei campi di concentramento nazisti del 10% degli scioperanti, ma all’ultimo momento i rappresentanti tedeschi in Italia riuscirono, per la prima e unica volta, a far revocare un ordine del Fuhrer: lo fecero perché temevano la reazione degli operai italiani, e un’accelerazione insurrezionale nel Nord. Invece che 70.000, i deportati furono 1200, con un’azione mirata verso i capi della rivolta operaia. Il male fu minore, per merito non dei tedeschi in Italia ma dei lavoratori italiani, che diedero un segnale di così grande forza da far prendere loro paura. Lo sciopero fu uno straordinario successo politico: servì a legittimare la Resistenza e a delegittimare l’occupante tedesco e la Repubblica fascista, e a sostenere le bande armate partigiane, anche se era ancora troppo presto per l’insurrezione popolare. Fu il più grande sciopero in Europa, a dimostrazione che nell’intreccio di scioperi e di guerriglia, di azioni militari e rivendicazioni sociali risiede il tratto peculiare e distintivo della Resistenza italiana. Oggi, di fronte all'offensiva revisionista che mette in discussione il significato storico, politico ed etico della Resistenza, rivendichiamo il valore di una lotta che ha sconfitto il fascismo, ha conquistato la libertà per l'Italia e ha lasciato un'eredità che ha impedito che il fascismo ritornasse.
La Resistenza ha creato anticorpi che non sono perduti, e sono oggi una risorsa per fronteggiare una situazione in cui si cerca di rimettere in discussione i principi di eguaglianza, giustizia e libertà che devono regolare il vivere civile. Ringraziamo infine gli ospiti per la partecipazione, seppur virtuale ma non meno sentita, e ci auguriamo che, anche grazie alla campagna vaccinale che sta procedendo, questo sia l’anno della ripartenza e che già dal prossimo 25 aprile si possa tornare a festeggiare degnamente la Liberazione, magari con un doppio significato, ricordando anche questo virus come una spiacevole parentesi del passato ma tenendo sempre ben presente che, così come va fatto con il nazi-fascismo in tutte le sue “varianti”, andrà tenuto continuamente sotto controllo per evitare che possa nuovamente tornare a presentarsi e rendersi minaccioso o, ancora peggio, che possa riprendere a mietere nuove vittime".