La "strategia Cofferati", cioè il rigurgito dei rottamati che non vogliono rassegnarsi alla sconfitta nonostante abbiano quasi sempre perso nel corso della loro vita politica, ha come unico obiettivo dare una spallata a Renzi, tramite le elezioni amministrative.
E il motivo principale che muove parte della minoranza del Pd in questo senso non è, come si affanna a ripetere qualcuno, salvaguardare la cosiddetta "sinistra", ma sopravvivere politicamente al cambiamento che il nostro segretario è riuscito a imprimere al Partito Democratico. Pensiamo per un attimo a chi sta guidando questa fronda: D'Alema, Bassolino e naturalmente Cofferati, solo per citare i più vivaci. Qualcuno può seriamente credere che stiano davvero portando avanti una battaglia a favore delle sinistra? Non scherziamo. Il loro è solo un gioco di potere.
La "strategia Cofferati" è uno schema piuttosto semplice: in prima battuta si schiera un candidato alle primarie che sia in contrasto con quello renziano; e fin qui nulla da dire.
Poi se vince il candidato di "sinistra" - anche se non vorrei svilire questa bellissima parola accostandola a persone come Cofferati che hanno aperto le porte alla destra in Liguria - si prova a minare la leadership di Renzi a livello nazionale, sostenendo che gli elettori del Pd si siano stufati di lui.
Se invece il candidato anti-renziano perde, si crea un caso, si dice che le primarie sono state falsate e si candida qualcun altro (o si ripropone la stessa persona) per fare di tutto affinché l'altro non vinca. E così si può andare in giro a dire che è sempre colpa di Renzi. Insomma l'obiettivo resta dare una spallata al segretario.
Tanto cosa importa se poi si regalano il Comune o la Regione, com'è avvenuto l'anno scorso in Liguria, alla destra? I nemici di questa gente non sono Salvini o Berlusconi, il loro vero avversario è Renzi, che con i risultati raggiunti in questi primi due anni di governo sta mettendo in evidenza tutta la loro inadeguatezza.
Quando le primarie hanno incoronato candidati di sinistra come Marco Doria a Genova, Nichi Vendola in Puglia e Giuliano Pisapia a Milano nessuno ha presentato una lista di disturbo.
Tutti nel Pd hanno accettato il verdetto delle urne e si sono messi a lavorare insieme per vincere. Perché invece quando la minoranza interna perde si comporta come quei bambini che si riprendono il pallone e preferiscono tornare a casa, piuttosto che continuare a giocare tutti insieme?