La crisi impone sviluppo e crescita come atti di fede ed il cemento indiscriminato è tra le preghiere più consuete di questa religione. Curioso che si curi il malato con la stessa medicina che lo avvelena, e la cecità prende la forma di lottizzazioni mascherate da riqualificazioni o centri commerciali, outlet, hotel e darsene anche laddove esondano sistematicamente i fiumi. Di fronte a tante certezze di chi continua a fallire, occorre avere qualche dubbio.
Sono stati valutati gli effetti a valle delle arginature? Quante opere in "somma urgenza", soldi pubblici, sono state fatte per reale utilità pubblica? Chi li ha eseguiti? Chi è intervenuto sullo stato dei piccoli torrentelli affluenti che hanno scatenato l'inferno del 25 ottobre? Quanti comuni hanno revisionato i PUC in modo da impedire ulteriori danni al territorio?
Domande retoriche. Nessuno rinuncia ad oneri d'urbanizzazione e relazioni con operatori economici che sono pronti a far cassa con il territorio e molti sono comuni spezzini non hanno nemmeno uno strumento pianificatorio in regola e procedono per varianti a colpi di maggioranza. Eppure, dopo il 25 ottobre 2012 si sarebbe dovuto prendere atto che le previsioni di esondazioni del Piano di Assetto Idrogelogico e dei piani di bacino, con tutti i loro limiti, sono state confermate come tiresiaca profezia.
Così a fronte di interventi sbagliati, invasivi, inutili se non dannosi, non c'è una visione, un'idea e un progetto di salvaguardia di un patrimonio inestimabile come i fiumi ed il territorio, di tutela e di valorizzazione attraverso progetti innovativi. Ciò che lascia sgomenti è che nessuna amministrazione ha fatto interventi di ri-presidiamento del territorio, di rilancio dell'agricoltura, di incentivo alla silvicoltura, di riqualificazione urbanistica e di istituzione di piani di ristrutturazione dell'esistente, tanto meno interventi per aumentare i tempi di corrivazione (il tempo che intercorre dalla caduta della pioggia all'arrivo alla foce dell'acqua) attraverso laminazioni delle piene.
La pianificazione del territorio spezzino segue le leggi del mercato, non quelle della collettività e dei suoi interessi. In questo contesto fermare il consumo del territorio diventa la linea del Piave, l'ultimo baluardo di un Caporetto che incombe sulle nostre vite. Chi è chiamato a decidere del nostro territorio ha gli strumenti per farlo in modo partecipativo, ma oggi l'immobilismo non è dettato da chi chiede tutele e salvaguardia, ma da chi attende la realizzazione degli interessi privati.
Quanti posti di lavoro sarebbero possibili fruttando la forza dell'acqua, l'energia della terra, le potenzialità e la fertilità del nostro suolo e lo sviluppo di economie di riuso e riutilizzo. Tutte ipotesi che non fanno fare affari a pochi, ma molto utili alle comunità, progetti lungimiranti e quindi veicolo di pochi voti nel breve. Ci si accapiglia sui fondi, ma realtà che fino a poco tempo fa godevano di "faraonici" finanziamenti crollano come i sentimenti delle loro suggestive vie.
In 3 anni si sono contate 4 alluvioni, 14 morti, centinaia di milioni di danni. Dalla Val di Vara alla foce del Magra, passando per la Riviera, c'è solo da incrociare le dita e sperare l'inverno non ci riservi vecchie sorprese. A poco servirà fare le Cassandre, forse utile ricordarci che le responsabilità sono chiare e da ricercarsi in chi amministra e pianifica (o non lo fa) il nostro territorio.
William Domenichini
Resp. Ambiente e Beni Comuni - PRC La Spezia