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L'uscita dell'editoriale di Luca Erba di questa domenica.

La sensazione è che tutto cambi, e cambi così velocemente da non avere il tempo di capire dove eravamo, dove siamo ma soprattutto dove andremo. È la velocità della politica. Una dimensione talmente articolata da prestarsi a contorsionismi che la fanno anche cadere in stupidi balletti che strizzano l'occhio alla volgarità della semplificazione. Quella stessa semplificazione che si traduce oggi in un inno trasversale: "bentornato bipolarismo, ci sei mancato." Il tutto condito da quella punta di sensazionalismo che ogni competizione elettorale porta con sé.

Come se non bastasse, dalla vicina Francia, accade ciò che sino a poco tempo fa (per chi aveva fatto finta di non vedere i gilet gialli) poteva ritenersi un'ipotesi remota: la destra più profonda che si sdogana, che si legittima a stare dentro le istituzioni con una certa fierezza. Un graffio-taglio culturale che rischia di ferire a morte il Princeps dell'Eliseo che giocando il tutto per tutto scommette su una coabitazione che a medio-lungo termine si riveli una cura efficace. Si dice però che la Francia abbia gli anticorpi robusti. Non metto in dubbio che non sia così, ma a decidere "coabitazioni o defenestrazioni" saranno gli elettori che, in parte, si sono già espressi.

Ci muoviamo in questo scenario che vede la Germania in una condizione di crisi.

Segnali di un voto che richiamano a momenti già visti con immagini in bianco e nero: crisi dei liberali, diaspora socialista e affermazione dell'ultra destra. Una tornata elettorale che in giro per l'Europa, eccezion fatta per l'Italia, decapita o delegittima, di fatto, i governi in sella.

Nel nostro giardino di casa assistiamo alla costruzione (meglio dire evoluzione) di uno scenario politico che rimette con prepotenza il bipolarismo (che volgarmente viene corteggiato e adulato dalla campagna del voto utile) al centro del tavolo. Non sono tra quelli che sostengono l'avanzata di questo sistema come un epifenomeno. La sua costruzione è stata concepita, studiata e voluta. Assistiamo da mesi ad un lavoro (Mediaset su tutti) certosino e quotidiano volto a designare la sfida, a due, tutta di rosa vestita. Un assetto che ad oggi produce un vantaggio strategico tutto per il centro destra e un vantaggio appena tattico per l'altro campo. I due campi a confronto si distinguono per la formazione di un architrave che si traduce tutto in una semplicissima formula: il centro-destra (con buona pace della Gruber e della sua ossessione per la "destra-destra") ha una coalizione solida e ben bilanciata (la sfida Forza Italia - Lega avvantaggia nel suo complesso tutta la compagine) con un centro e degli alleati che ad oggi "coprono" esigenze elettorali a vari livelli. Un centro destra che mette sul piatto un'offerta politica in grado di parlare a più mondi tagliando trasversalmente la società. Di contro la difficoltà dell'altro campo che vede una monade (ad oggi indivisibile) che certifica la tendenza ad un processo di cannibalizzazione del M5S e accentua una propensione a stare all'interno di un perimetro che radicalizza la propria proposta politica mancando però di una risposta fondamentale: il PD da solo può risultare forza maggioritaria nel paese? Se al primo obiettivo ha risposto con il voto alle europee (l'aggressione ai cinque stelle ha dato i suoi frutti), sulla seconda domanda si percepisce un quadro di incertezza che crea molto più disorientamento. La sconfitta onorevole e "coerente" non può diventare il "refugium peccatorum": per vincere bisogna immaginare di farlo con altre forza politiche. Altrimenti il rischio è di rimanere confinati dentro l'irrilevanza politica, fattore che può diventare una condizione strutturale.

Dopo il voto emerge una spinta di un pezzo consistente del paese che guarda al premierato con ancora più convinzione. Il bipolarismo nei fatti si traduce in una voglia di semplificazione che serpeggia da anni tra l'elettorato: "voto il Presidente del Consiglio, voglio sapere chi governa per cinque anni."
Al di là delle obiezioni che possono venire fuori e l'esigenza di capire la prossima legge elettorale, il dato è che tutto si avviluppa dentro un campo di gioco congeniale all'attuale compagine di governo. Giuseppe Conte "Di Montecristo" arroccato nel suo rancore (come perfidamente suggerisce Di Maio nelle sue interviste) rappresenta il muro per un'alleanza strategica con il PD. La rivoluzione pentastellata si è conclusa da parecchio tempo e ad oggi si fatica a capirne la prospettiva. Oggi Conte per il M5S rappresenta al tempo stesso la cura e il male. Non c'è una alternativa credibile a Conte ma Conte non è più un capo credibile. Un cortocircuito dal quale non si potrà uscire velocemente.

In questo scenario Forza Italia continua a mettere benzina dentro il serbatoio. Le recenti parole della terzogenita di Berlusconi, Barbara, riprendono con vigore la battaglia sulla riforma della giustizia di Berlusconiana e ideologica memoria. Un habitat naturale per una forza moderata che sta saldamente con i piedi piantati a terra. Il centro destra si apparecchia la tavola sapendo che i numeri, ma anche l'humus culturale del paese, li vede protagonisti e avvantaggiati nella battaglia. Anche perché se l'espressione massima della sinistra radicale (nel quadro delle alleanze esiste anche necessariamente una componente radicale) è rappresentata dall'affermazione di Ilaria Salis, la distanza culturale con un pezzo (ad oggi maggioritario) del paese difficilmente si andrà colmando.

In politica tutto è possibile, mai dire mai. Ad oggi però abbiamo una certezza: è stato inserito il pilota automatico per la conduzione di un conflitto che consegna un vantaggio strategico tutto a favore di una parte del campo.

 

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