“A livello provinciale abbiamo 7 mila posti barca, un terzo della regione. – spiega Giuliana Vatteroni coordinatrice CNA Nautica La Spezia - ma non sono sufficienti. Da una parte con il boom turistico c’è un nuovo bisogno di spazi, ma il golfo non li contiene, dall’altra le darsene sul Magra devono fare i conti con eventi alluvionali sempre più frequenti e con materiale detritico. Occorrono grandi interventi strutturali, il recupero di spazi in Arsenale o nelle ex aree industriali, ma anche uno snellimento burocratico. Le piccole imprese locali hanno preso consapevolezza che per rimanere competitive sul mercato devono produrre qualità e fare squadra”.
“Nello spezzino abbiamo un media del numero di occupati tra soci e dipendenti è di 6,2 mentre a livello nazionale resta intorno al tre. – aggiunge Federica Maggiani, Presidente CNA della Spezia -. Per poter consolidare questo trend positivo di ripresa tutte le diverse attività che creano la filiera devono essere più coese per creare insieme un sistema di eccellenza”.
Il Rapporto di CNA è stato illustrato da Lorenzo Pollicardo, esperto CNA del settore, il quale ha spiegato la giusta lettura dei dati e le prospettive del mercato: “Il 2017 è il secondo anno di crescita a doppia cifra in Italia per il mercato nautico, con un fatturato che sfiora i 4 miliardi (+18%). C'è una ripartenza del mercato interno, con prospettive molto buone. Dati raccolti confermano anche un aumento delle 'toccate' dei grandi yacht sulle coste italiane, 8.200 nel 2017, con una permanenza media che si avvicina alle quattro giornate.
Su dieci barche di oltre 30 metri tre sono italiane. Il risultato di un cantiere è sempre un gioco di squadra composto da tante professionalità e la qualità italiana è una garanzia. Da sondaggi svolti in collaborazione con i comandanti sul refiting il mediterraneo è risultato il luogo ideale per svolgere queste lavorazioni per l’esperienza pregressa del cantiere. Anche in questo campo le piccole imprese e gli artigiani concorrono a fare la differenza”.
Una filiera complessa
Quando si pesa il valore economico (e sociale, in termini di occupazione e ricchezza diffusa) del comparto si tiene conto solo dell’attività strettamente cantieristica. Vale a dire della costruzione e della riparazione di imbarcazioni. Senza valutare tutte le altre strutture produttive e di servizio funzionali alla nautica da diporto. Un insieme molto ampio di prodotti, che spazia dal settore tessile (vele e cime) ai mobili (arredi interni), dalla produzione e installazione di macchine e apparecchiature (impianti) ai prodotti in metallo (eliche, ancore), dalla meccanica (motori) alla strumentazione (bussole, radar, Gps, software). Connessa alla nautica, inoltre, è un’ampia gamma di servizi turistici e portuali, che va dalle scuole nautiche al trasporto delle imbarcazioni, dal rimessaggio al refit. Un combinato disposto che vale il 44% del giro d’affari (contro il 56% della produzione) e che rende la nautica molto più rilevante di quanto emerga dalle statistiche ufficiali, che non ne fanno percepire il reale valore economico e occupazionale e quindi non permettono di misurarne e apprezzarne la portata. L’insieme delle attività della filiera nautica non è censito, alcune lavorazioni non hanno un codice adeco dedicato. Non si ha, dunque, contezza dell’insieme delle lavorazioni correlate.
Il report CNA ha individuato 286 diverse attività legate alla nautica.
Il ruolo dei “piccoli”
La piccola dimensione delle imprese rappresenta il tratto caratteristico del settore nautico italiano.
Dai dati Istat aggiornati al 2015 risulta che le imprese con meno di 50 addetti sono il 97,9% della totalità, e contribuiscono al 46,8% dell’occupazione, al 21,8% del fatturato e al 35,1% del valore aggiunto.
Negli anni della crisi la cosiddetta “piccola nautica” (le imprese che fatturano fino a 5,1 milioni di euro) è stata colpita, però, da un autentico tsunami economico. Tra il 2009 e il 2014 sono state spazzate via il 13,9% delle imprese con il 23,9% di addetti, un dato peggiore del sistema manifatturiero complessivo, che ha perso il 9,7% delle imprese e il 12,2% dei dipendenti. Una selezione darwiniana che ha riguardato, in particolare, le imprese meno dotate patrimonialmente (le società di persone sono calate del 25,9%, le ditte individuali del 16,9%) lasciando in sostanza intatto il numero di società di capitali, diminuite del 2,9%.