L’Associazione Culturale Mediterraneo organizza l’iniziativa “Marzo africano”. Protagonista sarà la fotografia, con due mostre in contemporanea: “Afriche. Immagini e voci” di Marco Aime (Mediateca, 13 marzo - 8 aprile) e “L’Africa come in un sogno” di Catherina Unger (Urban Center, 14 - 31 marzo). In occasione delle due inaugurazioni verrà presentato il numero della rivista “Limes” dedicato al tema “Africa italiana” (Mediateca, 13 marzo ore 17) e verrà proiettato il film “Il suo nome è Tsotsi” di Gavin Hood (Urban Center, 14 marzo ore 17). L’iniziativa ha il patrocinio del Comune della Spezia: l’assessore alla Cultura Paolo Asti porterà il saluto dell’Amministrazione in entrambe le inaugurazioni.
“AFRICHE. IMMAGINI E VOCI” di MARCO AIME
La prima mostra, dal titolo “Afriche. Immagini e voci”, è di Marco Aime, docente all’Università di Genova, antropologo e scrittore. Sarà allestita alla Mediateca (via Firenze): l’inaugurazione si terrà martedì 13 marzo alle ore 17. E’ una mostra di parole e immagini, in cui tradizionali proverbi africani accompagnano scatti fotografici realizzati da Aime in Mali, Ghana, Benin, Malawi, Tanzania, Congo e Algeria. I proverbi esprimono quelli che, in modo un po’ denigratorio, chiamiamo “luoghi comuni”, ma che in realtà rappresentano, almeno in linea di massima, dei pensieri condivisi da gran parte della società che li ha creati. Bisogna quindi leggerli come tali, come voci che percorrono le comunità nello spazio e nel tempo, tramandandosi di generazione in generazione, sintetizzando in una battuta quella che dovrebbe essere l’opinione dominante della comunità stessa sull’argomento in questione. Il proverbio è sintesi, semplifica la realtà e il ragionamento, talvolta banalizzandoli, ma contestualizzandoli sempre nella tradizione, come a dire: si è sempre fatto così, continuiamo a farlo. In Africa gli anziani parlano spesso per proverbi, soprattutto nei contesti collettivi in cui la parola assume una valenza importante: pronunciare in un consiglio o in un’assemblea un certo proverbio significa ricordare agli altri la norma da rispettare, la tradizione. Si tratta di un “linguaggio mascherato”, caratterizzato da una forte valenza narrativa e da una carica metaforica quasi teatrale, che colpisce l’uditorio e arricchisce il racconto, soprattutto in un contesto collettivo. Marco Aime presenta una lettura visiva dell’Africa e delle sue molteplici anime, mescolando antropologia e fotografia, in un racconto suggestivo e poetico.
La mostra sarà allestita fino a domenica 8 aprile.
L’iniziativa si avvale della collaborazione con il Festival delle Geografie 2018, che si terrà a Levanto il 6-7-8 aprile.
FABRIZIO MARONTA PRESENTA “AFRICA ITALIANA”
In occasione dell’inaugurazione della mostra verrà presentato il numero della rivista “Limes” dedicato al tema “Africa italiana”. Interverrà Fabrizio Maronta, consigliere scientifico e responsabile delle relazioni internazionali di “Limes”, che discuterà con Marco Aime e con Giorgio Pagano, Presidente dell’Associazione Culturale Mediterraneo.
L’Africa è, in buona misura, il continente del futuro. Sicuramente del nostro, protesi come siamo in un Mediterraneo che del continente africano è per molti aspetti la prosecuzione. Ma anche altrui, come attesta il crescente interesse di molti Paesi europei, degli Stati Uniti, della Cina e del Golfo per una regione che condensa immense sfide e analoghe opportunità. Demografia, sviluppo urbano, energia, problematiche ambientali, migrazioni, identità, sicurezza, risorse, diritti umani: nell’ottica europea, e certamente italiana, è in Africa che queste tematiche hanno una dimensione cruciale. Qui, nei prossimi decenni, si deciderà la fisionomia e la sostenibilità dei rapporti tra Europa e Sud del mondo, con tutte le fondamentali implicazioni strategiche che ciò comporta. È pertanto della massima importanza intensificare i rapporti esistenti con i molteplici attori africani e intesserne di nuovi, per contribuire a plasmare dinamiche che ci toccano direttamente. In quest’ottica, il volume di “Limes” offre una panoramica della presenza e dell’influenza italiana in Africa, per capire dove, come e quanto contiamo nel continente.
“L’AFRICA COME IN UN SOGNO” DI CATHERINA UNGER
La seconda mostra, “L’Africa come in un sogno”, è di Catherina Unger, fotografa di viaggio tedesca che ha scelto Manarola come patria d’elezione. Sarà allestita all’Urban Center (via Carpenino) e inaugurata mercoledì 14 marzo alle ore 17. ”Mi sento particolarmente legata all’Africa, di cui mi commuove la natura incontaminata: deserti, foreste, i fiumi indomati, gli animali selvatici -scrive la Unger-, la gentilezza e l’ospitalità delle persone mi apre il cuore”.
Protagonisti della mostra sono gli animali selvatici che si muovono nella natura incontaminata, i panorami mozzafiato che si estendono fino all’orizzonte senza che l’occhio venga “disturbato” da qualche segno di presenza umana. Paesaggi che sembrano invariati dall’inizio di tutti i tempi. L’uomo, lì in mezzo, diventa più piccolo, perde la sua onnipotenza, viene ridimensionato e spinto a ricordarsi le sue origini. Questa è l’Africa che cerchiamo quando intraprendiamo un safari o un viaggio in un paese come la Namibia o il Botswana. Esiste ancora, quest’Africa, sempre di meno. Ed è un mondo parallelo. Come in un sogno.
La mostra sarà allestita fino a sabato 31 marzo.
PROIEZIONE DI “IL SUO NOME E’ TSOTSI” di GAVIN HOOD
Un ragazzo senza nome, chiamato semplicemente “Tsotsi”, che nel linguaggio di strada dei ghetti del Sud Africa significa “gangster”, è a capo di una banda di giovani criminali, assassini disperati e incoscienti. Una notte, approfittando di un’opportunità offertagli dal caso, Tsotsi ruba la macchina a una donna dopo averle sparato. Quando si accorge che nell’auto c’è il figlio della donna, un neonato di tre mesi, la sua vita non sarà più la stessa.
“Il suo nome è Tsotsi”, vincitore del Premio Oscar come miglior film straniero nel 2005, mescola la materia del thriller con quella del viaggio psicologico interiore, riuscendo in una perfetta sintesi dei due elementi. Tratto dal romanzo “Tsotsi” del drammaturgo sudafricano Athol Fugard, uno scrittore da sempre impegnato contro l’apartheid e la ghettizzazione delle comunità di colore del suo paese, il film racconta la riscoperta di alcuni dolorosi ricordi da parte del protagonista, e pone degli importanti interrogativi: da dove nasce il suo comportamento criminale? Una redenzione è possibile?
Il film riesce a conservare la particolarità delle proprie origini: individua le cause della criminalità (povertà, l’emarginazione, violenza... che sono globali), ma le racconta rimanendo fedele alla cultura del Sud Africa. E’ questa la caratteristica che gli ha permesso di raccogliere straordinari successi di pubblico in numerosi festival cinematografici internazionali e un meritato Premio Oscar: mantenere il particolare nell’universale.