Grande successo al Teatro Civico della Spezia per l’Avaro di Molière, adattato e diretto da Ugo Chiti con protagonista il bravissimo Alessandro Benvenuti. Un classico seicentesco di Moliere che riesce a parlare anche del presente senza bisogno di trasposizioni o forzate interpretazioni. L'Avare ou l'École du mensonge, come recita il titolo originale, racconta la storia di Arpagone, uomo avarissimo costantemente occupato a far credere, persino ai suoi figli Elisa e Cleante, di non avere le somme che effettivamente possiede, diventando oggetto di scherno e sberleffi. Elisa è innamorata di Valerio, domestico del padr eche pur essendo nobile ha deciso di fingersi povero e lavorare presso l’uomo. Cleante, invece, è innamorato di Mariana, di condizione inferiore alla sua e con una madre molto malata. Cleante vorrebbe aiutare la sua amata, ma non gli è concesso perchè il padre non gli permette di spendere più dello stretto necessario.
Nel frattempo Arpagone accusa Freccia, servo di Cleante, di volergli rubare ogni suo avere, facendo intendere di avere nascosto una certa somma.
La trama si sviluppa in una serie di equivoci e colpi di scena. Cleante, Mariana, Elisa formuleranno un piano in favore delle due giovani coppie di innamorati. Sul finire il ritmo della commedia si fa più veloce con il furto della cassetta con il tesoro di Arpagone e la ricerca da parte del commissario del ladro. Gli equivoci vanno avanti sino a quando Cleante, che sa dove si trova la cassetta, chiede in cambio ad Arpagone di lasciargli sposare Mariana. Arpagone, su insistenza di Anselmo, accetta anche di prendersi carico di tutte le spese matrimoniali, e consapevole di aver più a cuore il suo denaro della sua famiglia, pur di non perdere i suoi diecimila scudi acconsente ai due matrimoni dei figli.
“L'Avaro” messo in scena daUgo Chiti a suo dire occhieggia a Balzac, senza dimenticare la commedia dell’arte, intrecciando ulteriormente le trame amorose in un’affettuosa allusione a Marivaux.
Alessandro Benvenuti si dimostra un attore maturo e riesce con la sua fisicità cabarettistica toscana ad interpretare benissimo lo spilorcio Arpagone.
L’amore ha tanta parte nell’economia della commedia, ma senza le implicazioni psicologiche e paranoiche di Arpagone, inguaribile taccagno, costantemente intento ad anteporre i propri interessi su quelli dei figli, non vi sarebbe trama. L’amore diventa subordinato all’avarizia: un’avarizia cieca, che sembra vivere di vita propria, quasi un demone contemporaneo per il 'malato' Arpagone che sembra non essere completamente in grado di rispondere delle proprie azioni.