"La lingua arcolana, il dialetto, il pensiero di mio padre nasceva in arcolano, tutto ciò che ha prodotto è molto legato alla fase della giovinezza ai ricordi, alle immegini di quel mondo che lo ha ispirato durante tutta la vita”. Cosi Simonetta Gianolla ricorda il padre, Livio Gianolla, uno dei massimi esponenti della poesia dialettale ligure ed in particolare quella in dialetto arcolano.
Ad Arcola, terzo comune della provincia spezzina oggi come numero di residenti, Livio Gianolla passa metà della sua vita, i suoi primi 30anni, quelli della giovinezza, quelli che sono sempre presenti nella sua poesia, quelli che rivivono oggi nelle manifestazioni legate alla cultura dialettale che in Gianolla ha trovato un interprete limpido, profondo, ancora oggi attuale e capace di evocare immagini care non solo agli abitanti del comune a cavallo fra La Spezia, dove ha trascorso l’ultima parte della sua vita e la Val di Magra, con il fiume e il panorama del mare e delle Apuane, che racconta nelle pagine di poesia ancora oggi rilette nel borgo.
Abbiamo intervistato Simonetta Gianolla per rievocare il ricordo del padre Livio, personalità di spicco di una Spezia a sfondo culturale che negli anni 60-70 e 80 era in vero e produttivo fermento, con una comunione di “intellettuali” (così si chiamavano ai tempi, prima che il termine assumesse a volte connotazioni inspiegabilmente negative) che movimentavano la vita culturale di una città che ha prodotto grandi figure, molte legate al territorio che ne ha ispirato l’opera e l’impegno.
Ci descrive, Simonetta, un padre fuori dallo stereotipo del poeta affranto, sofferente, permeato di quel “male di vivere” che solitamente si accosta al produttore di immegini poetiche.
“Un uomo sempre ironico, un padre che non faceva mai mancare un sorriso, un tagliente polemista, una mente brillante mai scevra da quell’ironia che spesso determina grande cultura e sensibilità”.
La summa dell’opera di Livio Gianolla, secondo la figlia, è riassunta nella pubblicazione del Vocabolario del Dialetto Arcolano, nel quale sono confluite le opere principali del poeta nostrano.
“Lungo ia vòta e i viòi”, “Dar castèlo au razao” e l’antologia “Zerchème Lì”, raccontano la storia umana di un borgo, di una cultura contadina, di un metà secolo ancora presente nelle orecchie di chi è nato nella seconda metà del ventesimo secolo, attraverso le parole dei nonni, dei genitori, attraverso le sensazioni portate dal vento di mare, dai profumi della macchia meditarranea, dei campi, dai sapori, dai colori e dalla lingua, il dialetto, che ancora oggi fortunatamente, si sente parlare nei borghi, nei paesi della provincia spezzina.
“Un dialetto che cambia da borgo a frazione, a volte impercettibile nelle sue sfumature e per questo ancor oggi meritevole di studio e di memoria.
Siamo quello che siamo per via di ciò che siamo stati, indubbiamente il linguaggio porta con sè le tracce dei cambiamenti e delle vite passate, regalandoci visioni di un passato tanto diverso quanto presente ancor oggi nelle inflessioni, nei modi di dire, nelle abitudini paesane.
Ci riporta alla mente la consuetudine arcolana di mettere ad ognuno un soprannome, spesso “affibiato” dalle menti più salaci ed ironiche del paese, dove ognuno conosce tutti, le abitudini, le caratteristiche, i gusti, non hanno scampo, non ci sono segreti, si vive la comunità. Ed è proprio il sapore di questa vita di comunità che traspare dalla poesia dialettale, in grado di raccogliere e trasmettere tutte quelle immagini di un mondo che sembra lontano ma che a ben vedere fa ancora parte del presente.
Codificare il dialetto di Arcola, attraverso la costruzione del Vocabolario, segna un punto fondamentale non solo riguardante la poetica di mio padre, contiene infatti tutti i lemmi utilizzati nelle poesie, ma rende anche un punto fermo per ciò che riguarda la codifica del dialetto arcolano, che consente di avere un punto di riferimento linguistico. Da lì si parte per poter capire e scrivere l’arcolano avendo indicazioni sulla grammatica e sulla sintassi. C’è anche un riferimento importante che riguarda la costruzione delle frasi e l’uso appropriato dei termini. Importantissima e fondamentale la “regia” e la collaborazione di Piergiorgio Cavallini, che oltre che essere un caro amico per mio padre, una persona sempre vicina alla mia famiglia, è un insuperabile esempio di cultura spezzina. Pubblicato dal Comune di Arcola resta un’opera carissima a mio padre che purtroppo non ha potuto vederla realizzata essendo stata pubblicata postuma. Ricordo da piccola le riunioni a casa, le liste di termini con le spiegazioni, ho vissuto la costruzione dell’opera in famiglia e ricordo le serate, le discussioni, gli appunti, tutto un mondo che lo ha accompagnato per tutta la vita.
Le ultime esperienze, dovute alle organizzazioni arcolane che hanno portato le poesie di mio padre in piazza sono state davvero belle, sentire i suoi versi declamati in arcolano lungo le vie e le piazze del borgo è stato davvero emozionante.
Il dialetto, oltre che essere storia, descrive un modo di vivere, di sentire che ci appartiene, ed è interessante vedere come si è modificato adesso e come continua a modificarsi. Ci offre, attraverso il linguaggio, una finestra sul passato ma anche sul presente, proprio oggi che le radici vengono definite importanti in contrapposizione ad altre culture penso che più le nostre radici sono mantenute e conosciute, più la nostra cultura è forte e presente, meno paure dobbiamo avere delle altre, per questo mantenere vivo il dialetto è quantomai importante anche per le future generazioni e per i nostri giovani.
Il dialetto racconta di costume, di interazione fra le persone, di società. Ci dice chi siamo stati e chi siamo oggi. Basti pensare che una volta, ciò che costa cinque minuti in auto, necessitava di ore di cammino e che per questo le differenze dialettali esistevano ed esistono ancora in frazioni e paesi che distano ai nostri occhi pochi chilometri. Una volta quei pochi chilometri costavano tempo e fatica, e gli spostamenti che a noi paiono semplici allora erano estremamente difficoltosi. Questa distanza fisica consentiva delle varianti locali che sono frutto di quell’epoca e ci raccontano di una realtà che oggi grazie al dialetto possiamo immaginare e avere presente. Un tempo i borghi come Arcola erano delle vere e proprie famiglie allargate, le porte erano aperte e si condivideva tutto. Il dialetto ci racconta quei tempi attraverso il linguaggio. Mio padre ha sempre visto Arcola ed i paesi del suo tempo come delle vere e proprie comunità e li ha raccontati attraverso la poesia.
Abitavamo a Fossitermi ricordo, e sentivo parlare, da ragazzina in un certo modo, quando andavo a Marinasco a trovare i nonni, la distanza era davvero poca, sentivo eccome le differenze di linguaggio nel dialetto e questo mi è sempre rimasto in mente. Un quarto d’ora di mulattiera non di più, ma era sufficiente a marcare la distanza e a favorire le differenze nel linguaggio.
C’è stata anche un parte dedicata al dialetto spezzino e soprattuo una parte dedicata alla poesia in lingua italiana che ritengo importante. Tanto importante che insieme a Piergiorgio Cavallini stiamo ragionando su eventuali pubblicazioni. Le poesie di mio padre in italiano ritengo siano vera poesia e anche quelle meriterebbero di essere conosciute. Lo dico avendo come base la definizione di una poesia capace di evocare immegini ed emozioni, quello che mio padre ha sempre cercato di realizzare. Anzi, la poesia naturale, quella poco mediata, quella che nasce spontanea, spesso risulta autentica e immediata, capace di superare il tempo intatta.
La bellezza ti deve venire incontro e la poesia dialettale ha questa capacità innata, provenendo dal cuore della società semplice, contadina, rurale.
Riguardo alle nuove generazioni, che vengono accusate spesso di superficialità, credo invece che siano capaci di molta profondità e sensibilità. Dovremmo essere noi capaci di comunicare con loro attraverso i mezzi che la modernità ci mette a disposizione.
Ricordo la curiosità che ha sempre contraddistintio mio padre: i nomi delle cose, degli animali, delle piante, se non sapeva qualcosa andava a chiedere, la curiosità, insieme all’ironia era una caratteristica che non lo ha mai abbandonato. La ricerca del sapere, specialmte legato alla sua terra l’ha sempre portata con sè.
Anche l’amore per l’arte è nato nel paese. Sapeva Dante, Manzoni a memoria ed aveva una estrema facilità di memorizzare versi. Gli veniva “automatico” ricordare rime, versi, assonanze, ritmi. Riusciva ad entrare nella “testa del poeta”, grazie al suo talento, e ricordava poesie con facilità estrema.
Quando ci siamo trasferiti a Spezia, lui lavorava alle Poste, si è subito inserito nell’ambiente culturale. Ricordo Eugenio Giovando, Maurizio Scalzo, e tanti altri con i quali aveva un rapporto bellissimo e proficuo come Alberto Albonetti.
Anche pittura e arte in generale erano nelle sue corde e le sue frequentazioni comprendevano tutto ciò e tutti coloro che “masticavano” arte, in ogni ambito, come già detto il fermento dell’epoca aiutava e non poco.
Le frequentazioni importanti che ha avuto alla Spezia lo hanno fatto crescere, per sua ammissione, molto anche dal punto di vista artistico.
Il linguaggio in definitiva è uno specchio che ci permette di vedere come eravamo e come siamo e, se stiamo attenti, ci permetterà anche di vedere come saremo, se avremo qualcosa di buono da ricordare, perchè il linguaggio, ed il dialetto più di ogni altro, raccoglie il presente vissuto, e lo trasporta nel tempo attraverso le parole, se siamo capaci di ascoltarle”.
Livio Gianolla : Arcola (1938-1999)