Il 28 e 29 settembre, l'Istituto Superiore di Scienze Religiose Ligure, organizza il Convegno "Come tutto ebbe inizio - Le prime Comunità Cristiane: testimonianze bibliche, archeologiche e iconografiche".
Tra i relatori dell'evento, anche Fra Simone Schiavone, che tratterà il tema delle fonti archeologiche, quali evidenze delle prime Comunità Cristiane.
Fra Simone è Frate Minore Conventuale dell'Alma Provincia di Napoli dal 2011 e presbitero dal 2017. Attualmente sta completando il dottorato di ricerca al Pontificio Istituto di ArcheologiaCristiana (PIAC) sulla basilica paleocristiana dei SS. XII Apostoli a Roma, della quale nel 2021 ha scoperto un tratto significativo del pavimentomusivo.
Contestualmente svolge consulenza archeologica sui cantieri delle chiese terremotate di Amatrice per conto della Diocesi di Rieti, mentre in Terra Santa è responsabile con il Prof. Castiglia della ricerca archeologica del Campo dei Pastori per conto del PIAC.
Abbiamo contattato telefonicamente Fra Simone per farci raccontare il suo cammino di fede e come si è avvicinato all'Archeologia.
Fra Simone, come e quando è nata la tua vocazione?
"Sono cresciuto in una parrocchia francescana di Bovino, un piccolo paese dei monti Dauni in provincia di Foggia, oggi annoverato tra uno dei Borghi più belli d’Italia, e per me quello è stato il mio primo contesto - al di là della scuola - di aggregazione sociale e di attività ludica. Il parroco era un frate adulto, ma molto accogliente: alla domenica intorno all’altare eravamo tanti chierichetti sia maschi che femmine; alla mattina facevamo le corse per assicurarci il posto di fianco al parroco. Avevo 10 anni quando una domenica mattina del mese di ottobre mia madre, prima di lasciare casa per andare a raccogliere le olive nell’azienda di famiglia mi aveva lasciato un cambio abito che si sarebbe rivelato presto anomalo per la stagione autunnale: dei pantaloni a gamba corta. Non esitai a indossarli anche se una volta in parrocchia gli occhi dei miei amici erano puntati tutti su di me e non mancarono le risate e gli sfottò. Riparai dall’imbarazzo - ero molto timido da piccolo ma il teatro, gli scout e la vita mi hanno cambiato - correndo a infilarmi il camice da chierichetto, ma ciò non bastò a farmi sentire ancora gli occhi puntati addosso. Fu durante la celebrazione che questo imbarazzo fu dissolto dalla sensazione di un abbraccio avvolgente e protettivo, che nonostante la brevità conservai fino al mio rientro a casa. L’elaborazione di quanto vissuto non fu immediata ma ricomparse dopo qualche anno, credo tre, e compresi allora che si fosse trattato di un incontro straordinario, intimo e personale con il Signore Gesù che avevo imparato a conoscere nel catechismo e in maniera più concreta con il sacramento della Comunione. Ma la vita di un adolescente chiedeva altro: la scuola, i giochi, la comitiva dei ragazzi, le passioni, gli hobbies, i primi interessi sentimentali. Senza fare mai a meno degli appuntamenti pastorali e delle attività parrocchiali, continuai a fare la vita di tutti passando dall’Agesci e, dopo 7 intensi anni di formazione umana e spirituale, all’ACR".
Come hai capito che volevi seguire la strada dell'Archeologia?
"Dopo la Scuole Media difesi senza tentennamenti di fronte a mio padre che voleva mandarmi alla Ragioneria la scelta di iscrivermi al Liceo Classico, decisiva per innamorarmi dell’Archeologia che affrontammo nella prima lezione del corso di Storia dell’Arte. Dopo la Maturità classica alcuni condizionamenti esterni mi portarono a iscrivermi ad Architettura, ma non avevo che interesse per il solo corso di Storia dell’Architettura e durante le notti mi svegliavo di soprassalto per leggere e rileggere il piano di studi del corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali. Fu così che decisi, dopo appena 3 mesi, di rinunciare agli studi e di tentare un cambio di corso, ma ciò richiedeva un trasferimento in un’altra sede universitaria che non sarebbe stato né facile né efficace per lo scambio dei documenti. Decisi dunque di prendermi un anno sabbatico per maturare ulteriormente la mia scelta e la conferma venne dalle parole di mio nonno che mi suggeriva, a conclusione degli studi, di impegnarmi nella scoperta del bottino nascosto in un terreno di proprietà di famiglia, proveniente dalle scorrerie dei briganti a danni delle carrozze, che da Napoli a Foggia, sede della dogana delle pecore, transitavano per il famigerato Vallo di Bovino. Fu così che mi trasferii a Napoli trovando senza molte difficoltà una camera in un convento dei padri trinitari dove fu facile tra i 20 studenti universitari che vi risiedevano incontrare colleghi praticanti con cui animare la Messa e recitare il Rosario (con il tempo, oltre alla mia, altri due amici avrebbero maturato la vocazione al sacerdozio e alla vita religiosa). Non sono mancate in quegli anni universitari esperienze di fidanzamento, di cui l’ultima particolarmente importante per l’epilogo che ha avuto".
Di questo Fra Simone ne ha parlato con il giornalista Antonio Tarallo sulla rivista "Maria con me" dove racconta che la scintilla, la seconda chiamata, fu più forte della prima. Chiamato dalla Sovrintendenza a compiere degli scavi nella chiesa di Santa Maria del Monte a Montella nell'Avellinese, ricevette una seconda chiamata più intensa della prima da Maria. Davanti a lui si poneva un bivio: scegliere la fidanzata Valeria con la quale aveva una relazione da quattro anni, o seguire la via indicata dalla Vergine Maria. Ed è qui che si compie un doppio miracolo. il 1° maggio 2007 Simone, durante la Giornata Diocesana della Gioventù Campana, decise di chiedere consiglio a Maria, recitò il Rosario ai piedi della Madonna di Pompei e nel suo cuore sentì questo messaggio: "Lascia a me tutto, saprò io cosa fare". Ed è così che Simone ha intrapreso il suo cammino con i frati francescani, mentre Valeria è diventata una Clarissa Missionaria. I due ragazzi, quindi, ora condividono un percorso di fede. "Maria ascolta sempre le preghiere dei suoi figli" dice Fra Simone.
Dopo la seconda chiamata, una volta iniziato il tuo percorso di Fede come frate minore, un altro dilemma…
“Mi affidai a Maria quel 1^ maggio 2007, perché da febbraio avevo cominciato il cammino di discernimento vocazionale con i frati minori in Puglia, nella mia regione, ma vivevo la mia quotidianità nel convento dei frati minori conventuali in Montella, un’altra famiglia francescana dallo stile di vita sostanzialmente simile con la differenza del colore dell’abito: grigio (o nero) piuttosto che marrone. Ero particolarmente combattuto e a Maria ho chiesto di aiutarmi in questo discernimento e di preparare il cuore dei miei genitori (soprattutto quello più ostinato di mio padre) alla ricezione di questa notizia.
L’aiuto venne il 18 giugno di quello stesso anno in occasione della festa del beato Antonio Lucci della famiglia francescana conventuale, vescovo dal 1729 al 1752 nel mio paese dove morì e fu sepolto e poi beatificato nel 1989 da papa Giovanni Paolo II. Da allora era la prima volta che a Bovino si onorava questa figura con festeggiamenti pubblici (il parroco aveva fatto realizzare per l’occasione una statua lignea - la prima in assoluto - e aveva istituito il triduo di preparazione alla festa) e dopo la celebrazione in tanti eravamo fuori la chiesa ad attendere il simulacro quando uno dei portantini mi raggiunse e mi esortò senza mezzi termini a seguirlo per portare la statua: ‘Senza di te - mi disse - il beato Lucci nn esce!”. Non ebbi il tempo di decidere ma grande era il mio imbarazzo e la mia inadeguatezza dato che una cosa del genere nn mi era mai capitata prima di allora né alcuno in paese mi aveva mai visto svolgere un tale servizio. Quelle parole d’invito che mi furono rivolte e quel compito furono per me decisive. Feci tutta la processione con le lacrime agli occhi non per il peso della statua che anzi mi sembrò leggera tanto che non volli staccarmene nonostante le esortazioni degli altri portantini. Il beato Antonio Lucci mi chiamava a seguire Cristo nella sua famiglia religiosa, indossando il suo stesso abito cinerino; ed è così che a distanza di 16 anni ogni qualvolta torno al paese mi fermo a pregare sulle sue spoglie mortali custodite nel cappellone di San Marco (o cimitero dei vescovi), adiacente alla cattedrale della città”.
Puoi raccontarci alcuni progetti che stai seguendo o hai seguito in passato che ti sono rimasti particolarmente nel cuore?
"Negli anni universitari non ho mai fatto mancare uno o più appuntamenti annuali con i cantieri scuola. La prima esperienza è stata quella decisiva: si trattava di uno scavo nelle chiese romane di San Marcello al Corso e di San Marco a Piazza Venezia. Da subito ho avvertito un’attrazione e un interesse per l’Archeologia Cristiana e anche l’avvincente esperienza di scavo a Pompei non è riuscita a farmi cambiare idea. Le Università di Bari e di Foggia mi hanno dato l’opportunità di imparare la metodologia di scavo attraverso le indagini nel complesso paleocristiano di San Pietro a Canosa e nella villa tardoantica di Faragola a Ascoli Satriano, mentre con la mia Università “Suor Orsola Benincasa” presso i laboratori di Archeologia del monastero di San Vincenzo a Volturno, ho potuto approcciare ai materiali archeologici.
Dopo la laurea ho portato avanti il percorso accademico con la Specializzazione in Archeologia Tardoantica e Medievale dell’Università del Salento e, affacciandomi contemporaneamente nel mondo professionale, mi è stato proposto da persone che nemmeno conoscevo, un lavoro in un castello dell’Irpinia che ho accettato.
Nello studentato dei padri trinitari di Napoli uno studente di medicina mi parlava sempre di un convento francescano del suo paese, Montella, che si trovava per l’appunto di fronte a quello in cui dovevo lavorare, Nusco. Non esitai a chiedere ospitalità e lo feci con insistenza perché non era nelle loro intenzioni, dato che da poco era deceduto un frate. Se ne convinsero soltanto perché con i proventi della festa di San Francesco dell’anno prima avevano finanziato un piccolo scavo archeologico alle spalle dell’altare, per riportare alla luce le vestigia della chiesa cinquecentesca soppiantata da quella attuale del Settecento; e quello scavo lo affidarono a me. Fu un lavoro breve e sembrava che la mia permanenza tra loro dovesse finire lì. Ma non fu così perché, a seguito del rifacimento del piano pavimentale del chiostro, adibito a museo, il padre guardiano chiese e ottenne che si facessero tre saggi esplorativi per conoscere le potenzialità archeologiche del sito: vennero fuori un muro del primo chiostro di fine XIII-inizi XIV secolo, una sepoltura e un interro medievale.
Potemmo riprendere i lavori grazie a due vecchietti che donarono al convento un gruzzoletto di risparmi che, tra sette opere che i frati avevano loro segnalato, scelsero di destinare proprio allo scavo archeologico. Fu così che la mia permanenza tra i frati francescani proseguì per un altro anno e mezzo, sufficienti per maturare la decisione di entrare in convento rileggendo tutta la mia vita a partire da quella chiamata avuta a 10 anni quando ero chierichetto della mia parrocchia
A San Francesco a Folloni in Montella (Av) lo scavo ha confermato la presenza dei frati almeno dalla metà del XIII secolo, in continuità con quanto attestato dalla tradizione che vuole il passaggio dello stesso San Francesco e l’insediamento di una prima comunità di frati a cui si associano il miracolo del sacco del pane e quello della fonte miracolosa".
Cosa significa per te, dunque, l'Archeologia?
"Stare con i piedi nella terra calpestata dal Serafico padre e dai suoi primi compagni è stata un’emozione unica, straordinaria che ha cambiato la mia vita: ho scavato nella terra per arrivare a scavare nello spirito. Questo è per me il punto estremo e il senso più grande della mia vita: ricercare la verità di sé davanti a Dio attraverso le stratificazioni della vita; scoprire il senso del proprio essere sfogliando quegli strati e raccogliendo con meticolosità e cura ogni piccolo segno più o meno bello che sia per ricostruire una storia. L’archeologia è infatti un’indagine distruttiva in cui si rimuovono le vari fasi di occupazione di un sito rappresentate dai terreni di deposito naturale (accumulo) o antropoco (riempimento) dai quali è importante prelevare ogni segno (reperti) che possa aiutare alla fine a riscrivere la storia. L’archeologia dunque come la ricerca di sé è un percorso a ritroso nel quale più si va a fondo e più si scopre il valore della vita in cui relazioni, esperienze più o meno belle, progetti e traguardi, anche con i suoi fallimenti, si incastrano e si susseguono per comporre un albero di fronte al quale ci si può solo sorprendere".
Poi, dopo la Laurea, hai iniziato il Dottorato di Ricerca...
"Dopo 8 anni di formazione alla vita religiosa, in cui ho potuto completare anche gli studi di Teologia, mi è stata data l’opportunità di completare il curriculum degli studi con il Dottorato di Ricerca. L’oggetto dei miei studi è la basilica dei Santi Apostoli in Roma, sede della curia generalizia dell’ordine dei Frati Minori Conventuali, a cui appartengo. Risiedendo lì nel 2021, ho potuto portare alla luce un tratto del pavimento della chiesa paleocristiana. L’ausilio delle strumentazioni tecnologiche mi sta permettendo di riscrivere la storia di questa chiesa che era rimasta sconosciuta dalla ricostruzione settecentesca a danno della struttura primigenia e delle sue fasi successive. Questo lavoro è stimolante e sta suscitando interessanti aspettative tra gli studiosi e gli accademici.
Per la Diocesi di Rieti sto prestando consulenza archeologica sulle chiese coinvolte nel terremoto del 2016: il vescovo pro tempore mons. Pompili scelse di non abbattere nessuna delle chiese terremotate, qualsiasi fosse il suo stato. Ciò comporta un impegno gravoso e oneroso nel recupero, restauro conservativo, ricostruzione e restituzione alla comunità locale: questo è il motivo per cui a distanza di 8 anni il lavoro procede lentamente ma in modo costante.
L’altro fronte delicato su cui sto operando è quello palestinese: con il prof. Gabriele Castiglia, per conto del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana e in sinergia con la Custodia di Terra Santa dei Frati Minori, abbiamo avviato a febbraio 2023 una campagna di ispezioni archeologiche al fine di ampliare le conoscenze del monastero bizantino del IV-VI secolo messo in luce a metà del secolo scorso da padre Virginio Corbo. Purtroppo la situazione militare nella Striscia di Gaza e l’escalation del conflitto a Nord sul fronte libanese, sta scongiurando un ritorno dell’equipe di archeologi italiani che lì sono affiancati sul campo dagli studenti di Archeologia dell’Università di Betlemme".
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
“Per il futuro spero di poter continuare a occuparmi di Archeologia come frate in Italia ma non mi dispiacerebbe in Terra Santa, con un impegno più concreto e continuativo. In Italia attualmente c’è tanto lavoro, ma soprattutto nell’Archeologia Preventiva, e la mia occupazione in tal senso è solo per contribuire alle spese della mia comunità provinciale e locale. Infatti, la ricerca è il mio interesse maggiore! D’altronde sento l’esigenza di mettere a frutto la mia vocazione di frate e di sacerdote: il contatto con i fedeli è infatti per me fondamentale! Poi trovo particolarmente interessante e efficace applicare il metodo scientifico dello scavo archeologico nel sacramento della penitenza e nella direzione spirituale”.