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Manuel Cossu, l’artista indagatore della solitudine, presenta “Cops” In evidenza

di Francesco Vito Ciaravino - "E' proprio il percepirsi fluttuanti dal senso di appartenenza, che alimenta il motore della mia arte”.

“La natura umana è un cratere inesorabilmente ottuso, impalpabile e tendenzioso”. Ammirando le opere di Cossu, è questa l’impressione che sovrasta i pensieri.

Il libro “Cops”, (presentato da Andante Books e Sergio Tossi, domani presso Sun Space in Via Sapri alle ore 16:00) d’altronde, consegna agli occhi del lettore la medesima sensazione, amplificandone il senso tramite l’analisi esistenzialista del tema principe che viene sviscerato tra le pagine: il poliziotto.

“Sono cresciuto leggendo e guardando polizieschi. James Ellroy è stato di grande ispirazione per questo volume”. L’artista delinea le motivazioni dietro tale scelta: “La polizia è pienamente immersa nella nostra quotidianità. È un’esistenza come tante altre, con cui entriamo in contatto. L’intento non è solo quello di riportare graficamente ciò che la gente vede e proietta sugli agenti, ma è espressa nel contempo, tramite la vividezza e la nitidezza conferita alle uniformi, la volontà di ripercorrere la dimensione della vulnerabile intimità del soggetto. Questa figura mi ha colpito particolarmente, perché in poche frazioni di secondo, può cambiare, col suo agire, le dinamiche in gioco durante un intervento a cui è chiamata a prestare servizio. Lo studio è stato anche indirizzato verso le conseguenze che la costante esposizione alla pressione, possiede sulla sfera privata del personale in divisa”.

La scomposizione e la ricerca sull’inquietudine interiore di questi elementi fanno da leitmotiv al viaggio antropologico che questi intraprendono all’interno di una cornice più grande che Cossu definisce “Tribù”, ovvero: un qualsiasi gruppo sociale che condivide valori, credo, stile di vita, e che fa rispettare regole non scritte ai suoi membri, nella misura in cui ne va dell’integrità e della sopravvivenza del gruppo stesso. “La tribù è una cerchia complessa e in perenne metamorfosi, dove è quasi impossibile concepirne e giustificarne le dinamiche in atto, a meno che non sia possibile calarsi concretamente nelle sue trame più inaccessibili. Io personalmente non appartengo ad alcuna tribù. Nutro simpatia per loro, ma sono convinto che non mi capirebbero mai. Ci si sente, talvolta, eternamente randagi alla realtà. Vai a un compleanno e non riesci a sorridere. Vai a un funerale e non riesci a piangere. Ma è proprio questo percepirsi fluttuanti dal senso di appartenenza, che alimenta il motore della mia arte.”

 

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