“Siamo fatti di parole, non tanto delle parole che abbiamo detto e pronunciato, ma siamo stati fatti delle parole degli altri, che ci hanno definito, colpito come proiettili, asce. Che ci hanno ustionato o che ci hanno esaltato” così Massimo Recalcati nel suo primo intervento alla ventesima edizione del Festival della Mente mentre si accinge a parlare del “trauma della perdita e il lavoro del lutto”.
Accolto da un grande pubblico che, oltre ad aver riempito il tendone di Piazza Matteotti ha acclamato con urli e applausi il suo arrivo, Recalcati ha tenuto due lezioni complementari ma anche distinte, iniziando dalla perdita sotto un profilo filosofico e psicanalitico per poi passare al tema della “Meraviglia della nostalgia”.
La perdita come un intermezzo che si interpone tra la prima meraviglia, e la seconda, quella che si palesa dopo ‘il lavoro del lutto’. “Siamo fatti delle perdite che abbiamo vissuto, che ci hanno ferito, che hanno scavato dentro di noi una mancanza – spiega - degli amori che abbiamo vissuto e perduto. Dei cari che se ne sono andati, degli amici, fratelli o sorelle che ci hanno tradito lasciandoci soli. Ciascuno di noi è fatto di ferite”. Il lavoro del lutto di cui parla Recalcati è un processo che richiede tre caratteristiche fondamentali, il dolore, il tempo e la memoria, purché si tratti di una perdita che porta in sé la caratteristica del definitivo. “Dobbiamo far diventare il lutto un lavoro, un qualcosa che si trasforma lentamente. Ci deve essere dolore e dobbiamo sentirlo - spiega - tutto è come prima ma tutto è diverso da prima, è il dolore dell'esistenza. Ci vuole il tempo, non esiste lutto rapido. Infine, è necessaria la memoria”.
Un discorso articolato attraverso tematiche connesse tra loro, come l’esperienza della vita e della morte umana messa a confronto con quella del mondo animale e vegetale ed in relazione con il tempo. “Che differenza c’è tra la nostra morte e quella dell’animale? – continua - nel mondo vegetale c'è un tempo naturale per morire, l’autunno, tempo in cui la foglia si stacca dal ramo. Così come il tempo dei nostri animali, che oltre una certa età periscono. Qual’è la differenza? L'ape, la foglia e il cane, non contano i loro giorni, sono nel presente assoluto. Noi contiamo i nostri giorni anche dopo la morte”.
Ed è proprio nell’ultima giornata di Festival, che Recalcati accolto ancora con calore ed entusiasmo da parte del pubblico, continua il suo discorso, una prosecuzione, un passo successivo con il tema della nostalgia.
“Un lutto può essere terminato? – esordisce - la nostalgia per un certo verso, come rimpianto, è una cronicizzazione del lutto. Quando pensiamo che ciò che abbiamo perduto sia per sempre insostituibile, ma talmente insostituibile che paralizza e blocca la nostra vita – denominato “effetto di paralisi: l'effetto di una idealizzazione di chi non è più qui” - più idealizziamo ciò che è stato, più abbiamo difficoltà a separarci da ciò che non è più qui.
“Ma possiamo avere un'altra idea della nostalgia? – chiede – è possibile, si tratta di una nostalgia che dovremmo pensare come una forma radicale di gratitudine. C'è qualcosa che è morto e che al tempo stesso continua a sprigionare vita. Qualcosa che è scomparso nella galassia dell'universo, ma questo lume spento emana luce”. Ed è proprio qui che si riscopre il senso della meraviglia, perché la forma della nostalgia non può essere solo ridotta a quella del rimpianto, ma ha un effetto prolungato nel tempo del nostro futuro. Una nostalgia per il passato che ritorna alla nostra mente, non di stampo malinconico, ma che sa di gratitudine.