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Ayò, lo studioso ebreo che leggeva e commentava la Bibbia cattolica

Egidio Banti ci fa conoscere la sua figura che ora anche Lerici, dove visse diversi anni, ora sta riscoprendo.


Ogni anno la Giornata della memoria, dedicata al ricordo dell’Olocausto e delle persecuzioni razziali, si svolge, il 27 gennaio, a pochi giorni di distanza da quella dedicata al dialogo tra ebrei e cristiani, in Liguria e alla Spezia rinvigorito di recente dalla nascita di un’associazione regionale dell’Amicizia ebraico-cristiana.

Il “combinato disposto” della doppia ricorrenza ci porta, anche a conclusione del recente anno dantesco, a parlare della singolare figura di un personaggio che, dopo essere stato nella prima parte del Novecento un esponente di rilievo del mondo ebraico italiano, visse poi diversi anni quasi dimenticato in terra spezzina, in particolare alla Serra di Lerici.

Ci riferiamo al professor Ugo Ayò, giornalista, scrittore, avvocato cassazionista e grande appassionato cultore della poesia di Dante. Moralmente distrutto dalle leggi razziali (“mi hanno tolto ciò a cui tenevo di più, l’insegnamento e la toga”, scrisse nel 1940 dalla Serra di Lerici al celebre poeta Trilussa, suo amico personale), sopravvisse fortunosamente ad una retata dei tedeschi nella campagna pisana, dove si era rifugiato, riuscendo ad evitare la deportazione ad Auschwitz, dove invece morirono il fratello Angelo e il cognato Cesare, della famiglia spezzina dei Sacerdote, noti librai di via del Prione. Nondimeno quelle vicende cambiarono la sua vita, portandolo sì ad una quasi estrema povertà materiale alla quale però sempre seppe unire, sino alla morte nel 1979, una straordinaria ricchezza umana e spirituale.

Ricordarlo oggi è quindi già un modo di compensare almeno in parte i torti da lui subiti e per rendere onore alla sua cultura. Le sue capacità intellettuali, che sino al 1939 a Roma lo resero ben noto negli ambienti forensi e in quelli letterari (a Dante, ad esempio, dedicò negli anni Trenta libri e conferenze), si unirono sempre ad una fede israelita molto forte, tale da non abbandonarlo mai: allievo rabbino, si era fermato a metà strada, ma questo non gli impediva conferenze e lezioni in molte sinagoghe. Ayò, nel contempo, era capace, ben prima di oggi, di essere, sia pure a suo modo, uomo del dialogo, nella coscienza che solo il dialogo porta gli uomini a cogliere la differenza tra “leggi effimere e leggi eterne”, titolo questo della sua terza tesi di laurea, in filosofia, sostenuta a Pisa a quasi ottant’anni. Inutile dire che leggi “eterne” erano per lui quelle consegnate da Dio a Mosé, quelle “effimere” invece le leggi umane, comprese purtroppo quelle imposte agli ebrei dal regime fascista. A una giornalista meravigliata che proprio lui servisse Messa al cappellano dell’ospedale dove era ricoverato, rispose arguto che “tre quarti della liturgia della messa sono di origine ebraica”. Non solo: leggeva e annotava con cura la Bibbia cattolica che un amico medico gli aveva prestato. Perché per lui non dalla Bibbia venivano la violenza e l’ingiustizia che troppi, e non solo la sua gente, subivano e ancora subiscono nel mondo.

Una piccola lapide lo ricorda ora nel cimitero ebraico di Pisa. A Lerici alcune recenti iniziative hanno ora riproposto l’attualità della sua testimonianza.


(Testo: Egidio Banti)

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