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Riflessioni di Maria Cristina Mirabello.

 

Non intervengo sulla polemica politica riguardo al Comune di Porto Venere ed alla “questione Giacomo Bastreri”, e non sto quindi a discutere se per Bastreri, ucciso dallo squadrismo fascista nel lontano giugno 1921, basti la piazza già dedicatagli nel suo paese, o se, visto il centenario della ricorrenza della sua morte da poco trascorso nonché quello dei drammatici avvenimenti che nel 1922 portarono all’ascesa al potere del fascismo, sarebbe invece bene ricordare, a livello pubblico, con iniziative specifiche, quanto accaduto allora. Lascio il “troppo” ed il “poco” a chi pesa la storia a spanne e non sa quindi vederne né le linee fondamentali né le pieghe.

L’omicidio di Giacomo Bastreri va inquadrato in un contesto storico in cui le organizzazioni del movimento operaio, pur mantenendo una certa forza, come dimostrato dai risultati nazionali, ma soprattutto locali, delle Elezioni politiche del 15 maggio 1921, vanno tuttavia avviandosi ad un declino, determinato, generalmente, dalla non adeguata consapevolezza di quanto sta accadendo, e cioè che il fascismo non è fenomeno transitorio, che esso va sempre più radicandosi in ambito sociale e che sta sempre più organizzandosi in forme sistematiche di brutale violenza fisica, frequentemente volte alla soppressione della vita, nei confronti degli oppositori.

E’ così che nel pomeriggio del 12 giugno 1921, in un contesto territoriale caratterizzato da molte e quasi contemporanee spedizioni squadristiche, 16 fascisti spezzini ne organizzano una, prendendo il vaporetto che va a Porto Venere, dove aggrediscono, all’inizio del paese, Costanzo Filippini, fornaio, Giacomo Bastreri e Paolo Bastreri, operai, tutti comunisti. Giacomo Bastreri, che porta con sé un bastone da difesa, cui è annodato un fiocco rosso, è ferito, gli altri due riescono a fuggire per le viuzze del borgo. Mentre i fascisti si accaniscono con i pugnali su Giacomo, uccidendolo, la popolazione dalle finestre scaglia vasi di fiori ed altri oggetti sugli squadristi. Ce lo dice Antonio Bianchi, che nel 1971 ha intervistato Costanzo Filippini, il quale, nuovamente aggredito in seguito, sarà costretto ad emigrare all’estero. L’evidenza dei fatti si commenta da sola. Lo storico Sandro Antonini afferma che, sul momento, vengono perciò arrestati dai carabinieri sedici fascisti, di cui tredici rimessi in libertà il giorno seguente. Solo tre sono trattenuti per concorso in omicidio. Ma i tre, come annota Antonio Bianchi, saranno assolti al processo tenutosi mesi dopo a Chiavari (e saranno minacciati invece i testimoni del grave episodio).

Di lì a poco avverranno i fatti di Sarzana del 21 luglio 1921: nel corso di essi lo Stato, nella figura del Capitano dei carabinieri Guido Jurgens, ed il popolo, grazie anche alle organizzazioni che lo raccolgono, imbraccia le armi in difesa della città, respingendo l’attacco preordinato di squadracce fasciste. Tuttavia tali fatti non saranno l’inizio di una inversione di tendenza, ma solo un arresto momentaneo nell’escalation fascista. Quest’ultima, come ben sappiamo, culminerà, dopo aver seminato ulteriori vittime sul suo cammino, locale e nazionale, grazie alla connivenza del re e delle autorità, nella presa del potere, di cui il famoso “discorso del bivacco”, pronunciato da Mussolini il 16 novembre 1922, è una significativa e perentoria sintesi: “Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”. Farà tutto ciò però dopo, e cioè successivamente alla legge Acerbo ed alle elezioni del 1924.

Ecco perché, al di là di ogni polemica contingente, occorre riflettere su che cosa sia successo prima di quel discorso, rammemorando, nella loro giusta cornice, gli episodi di per sé premonitori, come quello in cui fu ucciso Giacomo Bastreri, avvenuti quando forse l’esito degli avvenimenti non era ancora così scontato.


Maria Cristina Mirabello
scrittrice

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