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La Liguria continua a invecchiare e a perdere abitanti. L'immigrazione come risposta?

Un riflessione dell'ex sindaco Giorgio Pagano sul calo demografico e sul ruolo di un'immigrazione "integrata". L'impegno dell'associazione spezzina "Senza Confini"

La Liguria -secondo l’ultimo report demografico dell’Istat- si riscopre “con oltre 15 mila abitanti in meno, conserva l’età media più alta d’Italia con oltre un cittadino su 4 che ha più di 65 anni e vede diminuire le nuove nascite”. Lo squilibrio demografico è divenuto insostenibile: sia perché un numero di lavoratori troppo ridotto non può reggere il carico per il welfare di tutti gli altri, sia perché in diversi settori produttivi la manodopera occorrente -in molti impieghi dequalificati ma ormai anche in quelli più specializzati- non è più fornita in misura sufficiente dai lavoratori autoctoni.

Sfugge al dibattito politico che la correzione dello squilibrio passa in buona parte da una politica che favorisca l’immigrazione e la sua piena integrazione nei contesti sociali. La pandemia ci porta a non guardare lontano: i migranti sono sempre più invisibili, assenti dalla narrazione collettiva.


Dimentichiamo in questo modo che le politiche di respingimento dei migranti praticate in questi anni dal nostro e dagli altri Paesi europei sono non solo in contraddizione con i più elementari principi giuridici, politici e morali, ma anche autolesionistiche rispetto ai nostri veri interessi. L’Italia ha speso 800 milioni dal 2017 ad oggi per sostenere un sistema in cui ogni strumento è valido pur di non fare arrivare profughi: lasciare affogare decine di migliaia di persone, rinchiuderne centinaia di migliaia in campi di concentramento...

Non solo, tutte le istituzioni si sono mobilitate per costruire una storia che non c’era, quella delle Ong complici dei trafficanti. Davvero una pagina nera nella storia d’Italia: “Il losco accordo dell’Italia sui migranti”, titolava il New York Times il 25 settembre 2017, criticando il ministro Minniti. Servirebbero una Commissione d’inchiesta su fatti infamanti per l’Italia, mai accaduti in epoca successiva al fascismo.

Servirebbero scelte alternative, a partire dal ripristino dell’operazione Mare Nostrum. Ma l’auto-annientamento della sinistra (Minniti voleva diventare il Segretario del Pd ma ha solo preparato il trionfo del suo successore Salvini) e la “depressione” sociale rendono difficile un cambiamento radicale da un giorno all’altro. Non ci resta che prefigurarlo con forme alternative di vivere il presente. Praticando per esempio i “corridoi umanitari”, come fanno alcune associazioni religiose, che dimostrano che sì, si può fare, le persone si possono salvare.


Vale anche per le politiche di integrazione dei migranti che già vivono in Italia, sempre più accantonate. Non ci accorgiamo del lavoro perduto anche dai migranti. Come ha scritto Linda Laura Sabbadini, direttora dell’Istat: “Sono loro ad aver subito le conseguenze peggiori. Molto più degli italiani. E tra loro soprattutto le donne” (la Repubblica del 1° maggio). Ma chi si occupa di loro? E che fine hanno fatto lo ius soli e le politiche di inclusione?


Anche in questo caso qualcosa si può fare “dal basso”. Alla Spezia, per esempio, è nata nel 2020 l’associazione “Senza Confini”: un gruppo di ragazze e ragazzi di “seconda generazione” -guidati dalla Cooperativa Mondo Aperto- hanno deciso di impegnarsi sui temi della partecipazione sociale e del volontariato per aiutare i minori delle “seconde” e delle “nuove generazioni” a superare situazioni di disagio sociale e culturale. “Tutto è nato dalla nostra esperienza di mediazione culturale nelle scuole -spiega Florentina Stephanidi, Presidente di Mondo Aperto-, avevamo notato che le ’seconde generazioni’, nate in Italia o arrivate in Italia in piccola età, hanno maggiori difficoltà di integrazione rispetto a chi arriva già ‘grande’, perché si sentono senza identità: ‘Chi siamo noi?’.

Volevamo trasformare questa mancanza di identità in un potenziale, far vivere la loro differenza in un progetto che la valorizzasse”. Con il progetto i ragazzi sono cambiati. Tutti, marocchini, albanesi, dominicani, raccontano: “Ci sentiamo sia italiani sia del Paese in cui siamo nati... Non è un limite, è un pregio avere una doppia cultura... Le differenze ci completano, danno una marcia in più”. Ha ragione la Stephanidi: “Nelle nostre società le ‘seconde generazioni’ sono un valore aggiunto”.


Basta non girarsi dall’altra parte, e scopriamo che l’umanità e la lungimiranza non sono sparite, che le reti associative continuano a realizzare democrazia e convivenza. Non facciamoci paralizzare dalle difficoltà del cambiamento, già cambiare piccole cose è una rivoluzione.

Giorgio Pagano
Presidente delle associazioni Mediterraneo e Funzionari senza Frontiere

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