“Quando si parla di certi privilegi mi sembra di entrare nel Giurassico, oggi l'azienda non se li può più permettere”. Non usa mezzi termini Francesco Masinelli, amministratore delegato di Atc, per motivare la recente disdetta da parte dell’azienda di un vecchio accordo sui permessi sindacali.
Ieri, in commissione lavoro, il secondo round sulla scottante vicenda, dopo l’audizione dei sindacati la settimana scorsa sullo stesso punto.
L’ad Masinelli e il presidente Gianfranco Bianchi sono stati chiamati a far luce su quanto accaduto, dopo la versione delle sigle sindacali, presenti nella sala del Comune ad ascoltare i vertici aziendali, con cui non è mancato qualche momento di tensione.
Allo stato attuale, infatti, i rapporti tra azienda e sindacalisti, dopo gli scontri degli ultimi mesi, sono di fatto congelati, con gli ultimi che stanno aspettando di poter consultare il nuovo piano industriale.
“Per capire come siamo arrivati a questo punto è utile ripercorrere la storia di questi mesi – ha esordito Masinelli – Siamo arrivati a maggio 2018 e abbiamo trovato gli incassi dell’azienda in calo. Contestualmente la Provincia ci chiama e ci parla di nuovi tagli che avrebbero comportato 800 mila-1 milione di km di linea in meno. L’immagine era quella di un’azienda che non poteva stare in piedi da sola: si respirava un clima di rassegnazione, come se la cessione al privato fosse ineluttabile”.
Poi l’inizio di un nuovo percorso per risollevare le sorti di Atc, che ha puntato tutto sulla lotta all’evasione, agli sprechi e a quelli che Masinelli ha definito “privilegi”, su un forte controllo dei fornitori (quando il lavoro viene affidato all’esterno), sul potenziamento dell’ufficio acquisti e infine sulla riorganizzazione del parco mezzi.
“L’obiettivo di fondo è quello di ottenere l’affidamento in house del servizio di trasporto pubblico, per cui si è impegnata anche la Provincia – ha riassunto l’ad – Quando abbiamo parlato di affidamento in house ai sindacati ho ricevuto in risposta soltanto dei sorrisini. La risposta di alcune sigle sindacali è stata di sostanziale incredulità: con la Provincia siamo rimasti praticamente soli: il sindacato non si è mosso, se non quando abbiamo raggiunto un accordo con l’ente a metà marzo”.
Più complessa, invece, la questione dei permessi sindacali dell’azienda: in base al contratto collettivo nazionale, i permessi concessi ai sindacalisti sarebbero pari a 89,90 giornate all’anno; un accordo di secondo livello del 2014, però, ha fissato l’asticella più in alto in Atc, con 94 giornate di permesso all’anno per ogni sigla sindacale.
“Noi abbiamo disdettato un vecchio accordo del 1992 sui cosiddetti turni misti di guida – ha spiegato il presidente Bianchi – che sarebbe dovuto rimanere in vigore soltanto per 10 anni. Permetteva ai sindacalisti di svolgere soltanto metà turno e non lavorare nelle domeniche. Abbiamo scoperto che questi permessi vanno a incidere nel bilancio per 124 mila euro. Se si aggiunge anche la sigla dell’Ugl, si sale a 161 mila euro. È una cifra importante per un’azienda che sta cercando di ottimizzare il bilancio. Così abbiamo deciso di disdettare questo vecchio accordo, perché non andavamo a toccare un diritto ma un privilegio, stabilito probabilmente in tempi di vacche grasse”.
A replicare all’azienda ci ha pensato Marco Raffaelli del Partito Democratico: “Ci sono un po’ di discordanze rispetto a quello che abbiamo sentito dai sindacati, che parlavano di meno di 100 mila euro per i permessi. In ogni caso in Atc, anche durante il governo di centrosinistra, c’è sempre stato un rapporto di rispetto con le sigle sindacali, una condivisione d’intenti per il bene dell’azienda. Oggi invece c’è stato un cambio di passo, i rapporti sono congelati. Quella disdetta è arrivata insieme a una rottura totale dei rapporti, con i sindacati non c'è stata più una riunione, nemmeno per la commissione tecnica che deve affrontare problemi quotidiani come i guasti. I permessi non sono privilegi, ma un’agibilità che viene riconosciuta ai sindacati in sede di contrattazione collettiva”.
L’altro punto di scontro è la trasformazione della cosiddetta Pasqualina, un premio riconosciuto ogni anno intorno a Pasqua, proposta dall’azienda e bocciata dai sindacati con un referendum tra i lavoratori.
L’azienda sostiene che avrebbe portato 80 euro nelle tasche dei dipendenti e un risparmio di 100 mila euro per Atc, ma i sindacati non erano per niente convinti, soprattutto sulle modalità di utilizzo (anche fiscali) degli 80 euro. Tanto che la proposta era stata bocciata, anche se soltanto per una manciata di voti.
Ora in molti pensano che la rottura, e soprattutto la disdetta del vecchio accordo del ’92, sia stata una sorta di rivalsa da parte dell'azienda per la bocciatura della Pasqualina.
Una circostanza smentita decisamente ieri da Masinelli: “Ritengo essenziale il rapporto col sindacato, perché è il sindacato che ha il compito naturale di trasmettere ai dipendenti quello che l’azienda descrive in numeri”.
“Se vogliamo strumentalizzare ogni nostra azione facciamo pure – gli ha fatto eco Bianchi – ma non è il percorso giusto per salvare l’azienda. La nostra è un’opera di risparmio e razionalizzazione: nel 2012 Atc aveva 5 membri nel cda che costavano 153 mila euro all’anno, oggi ne ha 3 che costano in totale 35 mila euro”.