Quella di Seashepherd, sembra quasi un avvincente racconto sull’inseguimento dei cattivi, dove i buoni alla fine vincono sempre. Ma questa è una storia vera, fatta di battaglie, vittorie ma anche di sconfitte perché, spesso, la realtà supera la fantasia a danno di altri esseri viventi e del nostro pianeta. Basti pensare ai massacri di delfini e globicefali nelle isole Faroe o al quantitativo di plastica gettato in mare e che sta letteralmente distruggendo l’ecosistema marino. E in questo caso a vestire i panni degli eroi sono semplici persone che ogni giorno, con passione e sacrificio, conducono coraggiose imprese. Fondata nel 1977 dall’ormai famoso capitano Watson, Sea Shepherd è nata per proteggere e conservare la fauna marina.
Sam Simon è il nome dell’ultima imbarcazione di quest’ importante organizzazione internazionale, dal nome del coproduttore dei Simpson che l’ha riconvertita in una nuova mission, da nave che “uccide” ad una che “salva” le balene – dato che l’imbarcazione acquisita apparteneva ad una baleniera giapponese. Proprio per ricordare ciò che è stato, a bordo sono state mantenute le scritte in giapponese.
Attraccata al cantiere Antonini, la Sam Simon andrà presto ai lavori per qualche settimana nell’Arsenale della Marina Militare per poi risalpare i mari a settembre. La crew internazionale ci racconta le campagne condotte in questi mesi, dall’attività in Antartica a quella in Africa, dal golfo della Liberia e Gabon, lavorando in collaborazione con le autorità locali per combattere la pesca illegale - non dichiarata e non regolamentata -, rimuovendo migliaia di reti da pesca e raccogliendo prove per condannare i bracconieri.
“Sulla Sam Simon sono state issate 72 km di reti illegali – ha spiegato Roberto Dessena- Per es. nella campagna in Antartica, le autorità locali hanno fermato un centinaio di pescherecci che pescavano tonnellate di merluzzo illegale. Ne erano rimaste sei; noi con due navi siamo riuscite a fermarle. Una di queste si è autoaffondata dopo un lungo inseguimento”. Spesso infatti il modo migliore per ottenere un risultato efficace per l’organizzazione è quello di accostare alla campagna un sistema di repressione insieme alle autorità competenti, cercando anche di dare il “buon esempio” ed estendere questo tipo di azioni anche ad altre realtà con le stesse problematiche.
Un lavoro che non si ferma solo all’illegalità della pesca ma riguarda anche la tutela dei diritti umani, di quelle le persone tenute a bordo delle baleniere in totale schiavitù e che si ritrovano – una volta sequestrate le imbarcazioni – a rimanere “bloccati” in paesi a loro estranei, nelle mani degli armatori o, nei migliori dei casi, di associazioni umanitarie. “Si tratta spesso di filippini o asiatici attirati un po’ con l’inganno per lavorare, quando in realtà non vengono pagati ma sfruttati per attività illegali, vivendo in condizioni disumane, li anche nello stesso ambiente dove si pesca. Sembra una realtà molto distante da noi ma spesso questo pesce illegale arriva sulle nostre tavole grazie al transhipment, ovvero il trasbordo su navi “pulite” europee”.
Insomma, il lavoro è tanto ma la storia di questi coraggiosi pirati del mare dimostra come ognuno di noi ogni giorno possa contribuire con piccoli gesti a qualcosa di importante. Al momento, sono attive due iniziative: Parley for the oceans dove creators, innovatori collaborano a progetti che contribuiscono alla salvaguardia degli oceani; quello di Stella McCartney con la realizzazione di zainetti realizzati in plastica riciclata i cui proventi sono devoluti all’organizzazione.