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di Francesca Dallatana - Musica in fiore. Ocean song.

La Russia sulle dita.
“Solo un russo sente nel profondo la musica di un russo. E ne fa vibrare le corde più intime.”
Occhi negli occhi. Diretta e assertiva, una sentenza senza dubbioso ritorno:
“La Russia è fremito ed emozione. La Russia è sangue e brivido sulla pelle.”
Socchiude gli occhi, lasciando intendere il freddo nordico del colore dell’iride, e striscia le unghie sulla parte superiore di un avanbraccio dalla muscolatura allungata e definita.
Le braccia, le mani che si tendono, le dita che saltellano nei trilli alternandosi in terzine e in duetti sulla tastiera: è l’immagine di una pianista vista dalla platea. Pantalone nero ampio, una maglietta morbida, tono su tono e con le maniche al gomito, mocassini neri essenziali ma eleganti. Pronta a prendere postazione sullo sgabello del pianoforte, ad alzare ciuffo e sguardo sullo spartito. E a rincorrere il rigo sul bianco e neri dei tasti.
E’ seduta sulla poltrona nel retro di un negozio di fiori del centro città, a Parma. All’ingresso fiori e fiori e piante e il pianoforte nero verticale con lo sgabello di poco scostato.

Anna Dotsenko, russa di Azov, città storica nei pressi di Rostov sul Don, è cittadina italiana da anni. “Non ricordo da quando”, confessa stirando labbra e occhi in un sorriso. Il fremito di Russia mai ha abbandonato dita, mani e anima della pianista.
Tre cose sono necessarie per un buon pianista: la testa, il cuore e le dita.
Wolfgang Amadeus Mozart.

Il protagonista principale del negozio è lui, il pianoforte. E’ lui a conquistare la scena all’ingresso, tra rose rosse, lunghi steli e colorate corolle. Quasi di contorno, i fiori. Nonostante i fiori siano stati il “la” di inizio in Italia di Anna Dotsenko.

I fiori sono il primo lavoro in Italia.
E’ in Italia dal 2008. La lunga permanenza l’ha trasformata in una parmigiana d’adozione. Il suo racconto di radicamento parla di agili spostamenti sul territorio provinciale, di relazioni con istituzioni culturali e con professionisti, con la vita quotidiana della città.
Duemila e otto: l’anno del venerdì nero del fallimento Lehman Brothers, la cittadina russa Anna Dotsenko mette piede per la prima volta in terra italiana. Grazie alla relazione con una persona conosciuta nella città di origine. Una scelta di vita.
Di Parma, dell’Italia, al momento dell’arrivo che cosa rimane nella memoria? “Faceva fresco”, abbozza sul crinale dell’ironia.
“Fresco, si. Fa freddo in Russia, non qui. E’ un altro mondo. Poi – continua - ricordo le tapparelle e le persiane alle finestre. Le finestre con le tapparelle abbassate di notte. In Russia, tiriamo le tende all’interno. Gli occhi delle finestre rimangono aperti durante la notte. Dopo tanti anni anche io adesso dormo al buio.”
In Russia, le case guardano fuori di notte e di giorno.

Come è andato il dialogo iniziale con Parma? “Vengo da Azov, una città più piccola di Parma. Quando sono arrivata – dice - parlavo la lingua italiana molto poco. Qui ho conosciuto una ragazza di Azov. E’ stata lei a guidarmi alla formazione linguistica e a suggerirmi di iscrivermi al Cpia (Centro Permanente di istruzione pe adulti, Ndr) per imparare la lingua. Anche se la lingua si impara lavorando, soprattutto. E comunque grazie al Cpia ho raggiunto il livello di competenza linguistica che mi ha consentito di cercare lavoro. E di trovarlo.”
Il primo lavoro? “Lo stesso lavoro di oggi. Fiorista. All’ospedale di Vajo, a Fidenza, la titolare del negozio di fiori cercava una socia, una collaboratrice. Ho seguito un corso di formazione per imparare il mestiere e mi sono proposta. Ho lavorato a Fidenza fino alla decisione della titolare di vendere.”
Ma la lavoratrice ricomincia ancora tra i fiori a Parma. Un altro impegno di lavoro coniugato con il talento per breve tempo in sonno e in silenzio ad aspettare: la musica.

“Bicicletta, Carretta, Conservatorio.”
Le battute brillanti di Anna Dotsenko sono anticipate dall’espressività del viso, dalla mobilità degli occhi, dalla gestualità ieratica e misurata.
La bicicletta è il mezzo di trasporto che le permette di muoversi tra il nuovo lavoro presso il negozio di fiori Carretta, in strada Baganzola fino al Conservatorio Arrigo Boito. Dove termina il ciclo di studi di pianoforte iniziato in Russia.
“Al Conservatorio mi hanno accettato. Lavoravo, suonavo e studiavo. Dovevo anche finire il corso di formazione per la professione di fiorista. Andavo a lezione al Conservatorio nel tempo della pausa pranzo. Correvo pedalando tra il lavoro e la musica”, ricorda la pianista.

Fino al 2012, bicicletta e Carretta e Conservatorio sono impegni intrecciati e importanti.
“Nel 2012 ho deciso di aprire un negozio, il mio. In via Garibaldi. All’inizio dalla strada, di fronte al Magistrato del Po. In via Garibaldi sono rimasta fino al mese di novembre del 2022. La situazione di quella parte della strada Garibaldi è cambiata e i comportamenti dei frequentatori non sono adeguati a un negozio di fiori. Dovevo valorizzare il punto vendita. Ho trovato spazio in via Verdi al numero civico 8/B e ho spostato l’attività.”
Un’esperienza di lavoro che accompagna la vita italiana di Anna Dotsenko fino ad oggi. In questi anni di attività, particolari ricordi positivi? “In controtendenza rispondo: il periodo del Covid. Lockdown totale e io decido di tenere aperto il negozio. Trasferisco l’attività da remoto. Le persone vivono chiuse nelle case. Le strade sono deserte. Un grande bisogno di relazione da parte di tutti. I fiori diventano uno strumento per comunicare vicinanza, affetto, amore.”
Ambasciatrice delle parole d’amore incarcerate tra i muri delle case, bloccate dall’emergenza sanitaria. Fa eco: “Camminavo per le strade della città e sentivo il rumore dei miei passi. Raggiungevo i clienti e consegnavo fiori e pensieri di vicinanza.”
Periodo duro dagli effetti sociali singolari, durante e dopo. “Tutti avevano paura. Poteva lavorare solo chi faceva consegne. Ho chiesto aiuto al marito di un’amica, taxista di professione. Abbiamo collaborato. Il nostro lavoro ha abbassato il livello di paura e solitudine. Tutti erano contenti di vederti. Finito il Covid, molto è cambiato.”

Tre colpi di bacchetta sul leggìo.
E la musica ricomincia. Nel senso letterale del termine.
“Ho sempre suonato. Due, tre ore al giorno al pianoforte sono poche. Dopo il Covid ho intensificato. E sono ripresi gli impegni come pianista.”
I prossimi concerti? “Il ventidue di Marzo ad Aachen, in Germania. In programma: il preludio in Sol minore di Rachmaninov e il notturno numero tre di Liszt. Suono in Germania grazie all’amicizia con una cantante russa che ha sposato un italiano, anzi un europeo perché è per metà tedesco e per metà italiano. Due amici importanti. Ho l’orgoglio di averli presentati. Germania, poi Italia: l’undici Aprile presso la Casa della Musica di Parma ho in programma la sonata numero 1 di Shostakovich con un amico che fa da orchestra. Poi ci scambiamo i ruoli: lui come solista interpreta la numero due di Rachmaninov e io faccio l’orchestra.”
La musica non se ne va. Si assopisce, sonnecchia. Ma ritorna. Sempre. “Nel 2024 ho partecipato a concorsi internazionali per pianisti non professionisti. Un’esperienza bellissima. A Parigi, prima. Il concorso si chiama “Grands Amateurs de Piano”. Non ho superato la prova, ma è stato interessante e molto bello partecipare. Per dieci minuti si suona un pezzo a scelta, per quindici minuti Bach, infine per trenta minuti un altro spartito a scelta. Non mi ero preparata a sufficienza. Mi presento di nuovo verso la fine dell’anno. Al concorso di Milano, invece, è andata meglio e ho conquistato il terzo posto. Al concorso di Finale Ligure ho meritato il secondo posto.”
E la programmazione dei concerti continua.

Pietre preziose, gioielli e prigione.
La lavoratrice Anna Dotsenko ha preso per mano la giovane se stessa, la musicista russa migrata in Italia e ha permesso al talento di sbocciare. Lo studio, il lavoro e la vita russa rappresentano le fondamenta della vita italiana. In Italia ha invitato la madre, per la quale ha chiesto il ricongiungimento familiare. Combattendo contro le lungaggini della burocrazia.
La Russia è vicina? “Non vado in Russia dal 2012. Ma ho sempre mantenuto vivo il legame con le persone. Andare in Russia oggi significa affrontare un viaggio lungo e molto costoso. Ma le cose stanno cambiando. Ci sono segnali positivi ad Azov e a Rostov sul Don. Credo che presto ci saranno condizioni diverse e migliori. Mi farà piacere tornare nel mio Paese d’origine.”
In Russia, quali sono state le esperienze di lavoro di Anna Dotsenko? “Ho lavorato in una gioielleria. Sono molto diverse le gioiellerie in Russia rispetto a quelle italiane: pietre preziose più grandi e molto raffinate, gioielli elaborati. Il rapporto con la clientela deve essere altamente competente. Le gioiellerie non sono grandi catene. I gioielli sono beni preziosi. Prima del lavoro in gioielleria ho lavorato in un carcere. Ero occupata nell’ufficio contabilità. C’erano duemila detenuti. La contabilità del carcere registra tutte le spese affrontate per le persone detenute: farmacia, dentista, gli stipendi. In carcere le persone lavorano. Non tutte, perché dipende dal tipo di pena. Chi lavora riceve uno stipendio, regolarmente registrato in contabilità. Il carcere è una città nella città.”
Il lavoro e gli studi condotti all’unisono anche ad Azov. “Facevo un orario spezzato al lavoro. Intanto mi ero iscritta all’Università. Mi sono laureata in Scienze Politiche a Rostov sul Don. E non ho smesso di suonare. Mai.”

Russia, Russie.
Dopo Azov, l’altra Russia di Anna Dotskenko è il Kazakistan. “Da sei anni a sedici anni di età ho vissuto in Kazakistan, a Gvardejskij. Abbiamo raggiunto per motivi familiari la sorella di mia madre, coniugata con un militare. Era una città chiusa dove si addestravano e vivevano militari con le loro famiglie. Di quel periodo ricordo un’epidemia di epatite. Era il 1990. In molti la ricordano. Una sorta di lockdown durante il quale in massa siamo stati sottoposti a controlli sanitari e a cure.(Nel 1958 il Research Agricoltural Institute è stato fondato nel villaggio. Specializzato in malattie di animali da allevamento e colture, impegnato nella ricerca per proteggere i confini meridionali dell’Urss, in particolare le regioni dell’Asia meridionale da malattie infettive pericolose potenzialmente provenienti dai Paesi vicini. Oggi l’attività del centro continua in sinergia con Istituti di ricerca internazionali, Ndr.) Siamo ritornate ad Azov quando l’Unione Sovietica si è frantumata.”
Vivere alla fine dell’Impero sovietico. Una fotografia della vita di allora? “Non avevamo niente. Problemi di approvvigionamento alimentare. Mia nonna era ammalata, era diabetica. Non avevamo le medicine. Ricordo una stanza d’ospedale con tredici letti, tutti ammalati di diabete, tutti morti perché non c’era l’insulina.”
Il ritorno ad Azov ha segnato un nuovo inizio. Non facile, ma un capitolo nuovo di studio e di lavoro. La base di partenza per il decollo italiano.

Un suggerimento per i lettori per avvicinarsi alla conoscenza della Russia? “Un capolavoro della letteratura russa. In inglese: The Peaceful Don. L’autore è Mikhail Sholokov. In italiano: il Don pacifico.” Premio Stalin, nel 1941; premio Lenin nel 1960; premio Nobel nel 1965. Diversi critici hanno espresso dubbi sulla paternità del romanzo. I fatti relativi alla verifica di paternità valgono la penna di un romanziere. Nonostante la parola fine sia stata messa alle perplessità di molti intellettuali dal governo russo negli anni Novanta, che ha confermato la paternità di Sholokov.
Un viaggio? “L’anello d’oro a Mosca. E la navigazione sul Don.”
Il silenzio dei pensieri si annulla di fronte alla domanda sulla musica. Risposta a presa diretta di Anna Beniaminovna Dotsenko: “Rachmaninov, secondo e terzo concerto. Shostakovich, numero uno. Un russo sente questa musica nella carne.”

 

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