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Davide Conti alla Biennale della Resistenza: riflessioni sul fascismo e l'eredità di oggi In evidenza

di Marina Lombardi - Lo storico ha proposto un viaggio attraverso la storia e la sua eredità nel presente. Una lettura per interrogarci sul nostro presente. 

Superare la classica narrazione storica dei valori antifascisti e aprire un dialogo che si estenda al di fuori delle tradizionali celebrazioni. Questo è l’intento della Biennale dell’ANPI di S. Stefano Magra, che quest'anno prende il nome "Storia e Antifascismo, la Resistenza è sempre giovane”. 

La storia della Resistenza in Italia è un capitolo fondamentale nella costruzione della nostra democrazia, ma per raccontarla davvero è necessario comprendere i fenomeni di ieri con lo sguardo attento di oggi, e aprire così un quadro di riflessione e comprensione che dia una spiegazione delle condizioni sociali e politiche dell’attualità. Che cosa stiamo vivendo e perché, come si sono verificate le condizioni di oggi e come possiamo gestirle. Per farlo, l’intento dell’evento di oggi propone la conoscenza. Conoscenza della storia per dare un significato all’attualità. Per farlo, il protagonista di questo pomeriggio a Palazzi Civico, lo storico Davide Conti, che nel raccontare il suo libro “Fascisti contro la democrazia” ci invita prima di tutto ad interpretare il presente conoscendo il passato. E citando Mark Block afferma che “per porre le giuste domande al passato è indispensabile essere piantati con il corpo, con la testa e con lo spirito nel presente. Solo così possiamo rivolgere al passato le giuste domande per capire come vivere il nostro tempo”.

Un percorso di comprensione del fascismo, quello proposto da Davide Conti, che ci invita a riflettere su come il fascismo si presenti nell'Italia di oggi. Un'analisi che parte intrecciando le parole di Aldo Moro pronunciate durante il suo intervento a Napoli negli anni '60, in cui spiegava ai delegati del suo partito cosa fosse il fascismo in Italia all'alba di quel decennio. Raccontando quel Moro che evidenziava come il fascismo fosse un fenomeno inedito, un processo che ha trovato in Italia, e non altrove, gli "addentellati" necessari per passare da un partito a uno stato. Un profondo mutamento, che interrogava gli osservatori politici dell'epoca, che lo storico non può evitare di legare alla riflessione gramsciana, in cui Moro richiamava la passività delle classi dirigenti, dall’alto, nei confronti di qualsiasi processo riformista che minacciasse gli aspetti più conservatori e immutabili del paese. Ma cosa viviamo oggi? E soprattutto, come ci si è arrivati?

A precedere la presentazione Massimo Bisca, segretario nazionale dell'ANPI, che ha ricordato come la memoria della Resistenza sia inoltre un atto di solidarietà verso chi ha pagato con la vita per la libertà. Al fianco di Conti inoltre, Alessio Giannanti, laureato in letteratura italiana a Pisa e con un dottorato in storia, si presenta come un “militante antifascista”. Giannanti è anche attivista del Museo della Resistenza nonché insegnante di storia nel comprensorio di Carrara. Ricorda che le date del "29 e 30 novembre sono particolarmente significative, poiché ricordano un periodo tragico della storia: un grande fallimento sul piano militare, che si trasformò in una vera e propria caccia all’uomo. Questi giorni rappresentano un episodio di guerra contro i partigiani, un conflitto che non solo coinvolse i combattenti, ma mescolò anche le sofferenze dei civili". 

Un libro di riflessione storica per arrivare ai motivi di oggi 

Nel suo libro Conti spiega come il fascismo in Italia sia qualcosa di molto più profondo, poiché esprime quella componente di forze non marginali che rifiutano qualsiasi riforma strutturale capace di mettere in discussione la democrazia nata dalla Resistenza. Un fenomeno che si concretizza anche nel ricordo degli uomini fondatori del Movimento Sociale Italiano (MSI), “che non hanno esitato a compiere atti di violenza, tortura e omicidio contro donne e uomini della resistenza” afferma. Azoni che vennero decretate come crimini di guerra, registrati ufficialmente nel contesto della NATO, e che passarono però impunite.  

Il rifiuto di giustizia e responsabilità da parte delle istituzioni italiane è testimoniato anche dalla posizione di Giulio Andreotti, afferma Conti, “che dichiarò di non aver mai consentito l’estradizione di criminali di guerra, soprattutto verso un paese comunista”. L'Italia, nelle sue mille sfaccettature è raccontata da Conti nel suo continuo dualismo che contrappone una cosa all’altra. “Un paese che ha dato vita sia al fascismo che all'antifascismo, che si colloca in crocevia geopolitico tra il Nord e il Sud del mondo. Un paese nel quale si è sviluppato uno ‘stato nello stato’, che ha avuto una forte influenza nella cultura e nei costumi sociali, pur rappresentando al contempo l’anello debole dell'asse fascista, che si è arreso prima di tutti, ma senza condizioni”.

Per smontare la narrazione stereotipata e anche forse, minimizzata, ricorda che “l'8 settembre, data dell'armistizio, segna in realtà una cosa più importante, ossia la resa incondizionata dell'Italia”. Nonostante la decisione presa già nel 1942 da Churchill, Stalin e Roosevelt, che stabilivano che la Seconda Guerra Mondiale non avrebbe avuto trattati di pace con il nazifascismo, l’Italia si trovò a vivere una cessione della propria sovranità politica e delle proprie risorse. Questo status, che perdurò nell'immediato dopoguerra, creò le condizioni per inserire i nemici di ieri, quelli della guerra calda, tra gli alleati della guerra fredda, “contribuendo alla mancata applicazione di un processo di Norimberga in Italia – continua – a differenza della Germania, infatti, dove la società si fece carico delle proprie responsabilità, di quello che chiamiamo senso di colpa, in Italia non ci fu alcun processo di condanna per i crimini di guerra. Questo ha alimentato un’impunità diffusa, con un conseguente riassorbimento di molteplici figure fasciste all'interno dello stato, creando le basi per un lungo processo che ha visto, per esempio, l'ingresso di 64 prefetti su 64 con carriera fascista, e di molti alti magistrati, vertici delle forze armate e della pubblica sicurezza”.

“Leggere il fascismo di ieri e di oggi offre quindi uno strumento di comprensione più avanzato e accessibile rispetto a quello che avevamo negli anni '40. Oggi, infatti, è molto più facile agire nello spazio pubblico, grazie alla nostra repubblica democratica antifascista, che ci fornisce capacità e libertà impensabili in quel periodo – conclude lo scrittore citando Antonio Gramsci nei suoi diari dal carcere - ma sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio”.

Una lectio illuminante e costruttiva, che nella sua capacità di descrizione di fatti storici costantemente intrecciati con la realtà di oggi, ha rappresentato un momento di grande rilevanza per l’evento, incarnando lui stesso i valori antifascisti, ha narrato per filo e per segno fatti reali troppo di frequente sottovalutati o oscurati dal discorso pubblico. Va verso la conclusione la Biennale di quest'anno con lo spettacolo di stasera presso la Ex Ceramica Vaccari alle 21.15. 

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