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Alla Spezia sbarcano 156 “migranti”, Sea Watch 5: “Porto troppo a nord. Ennesimo tentativo di sabotaggio” In evidenza

di Marina Lombardi - Pochissimi resteranno alla Spezia, gli altri partiranno verso il centro-nord Italia.

È durato per quattro giorni di più il viaggio in mare delle 156 persone soccorse nel mediterraneo centrale dalla Sea Watch 5, ormeggiata al porto della Spezia questa mattina intorno alle 8.

Solo pochi di loro resteranno alla Spezia - non si conosce ancora il numero preciso - il resto dei "migranti" raggiungeranno destinazioni del centro-nord Italia. 

Sul posto la Croce Rossa che insieme alla Caritas Diocesana della Spezia ha allestito già da ieri tende e primo soccorso. Le persone sbarcate come da prassi effettueranno i controlli medici come primo step e poi l'identificazione ed interviste ad opera della questura. Dopodichè usciranno dal porto per partire verso le destinazioni a loro assegnate. 

Sono state recuperate in mare 4 giorni fa le 156 persone - la maggior parte provenienti dalla Siria, altre dal Sudan, Sud Sudan, Pakistan ed Egitto - suddivise in due operazioni di salvataggio differenti. Di queste 37 sono donne di cui 2 incinte, 44 minori di cui 18 non accompagnati, molti sono nuclei familiari. 

Quattro giorni fa è stata avvistata la prima imbarcazione in distress dal ponte della Sea Watch 5 ed è stata raggiunta dalle imbarcazioni rapide con il conseguente salvataggio delle prime 30  persone. L’avvistamento della seconda è avvenuto dopo pochi minuti.

L’operazione, risultata più complicata viste le 130 persone a bordo di una barca con un doppio ponte - dove si trovavano 20 tra donne e uomini stipati e al buio. Si tratta di un trasporto molto grave e pericoloso dove il piano coperto a causa dei fumi del motore e mancanza di ossigeno, è pieno di sostanze nocive per la salute umana, e può causare complicazioni respiratorie e conseguente morte - come è successo ad un ragazzo di soli 19 anni nel precedente soccorso di Sea Watch 5. Su quest'ultima infatti "le persone che si trovavano nel ponte sotto coperta, che è il punto più pericoloso a bordo perché è dove i fumi del motore rischiano di creare un’area irrespirabile che porta all’intossicazione - ha raccontato Luca Marelli del team di terra e supporto di Sea Watch - hanno dovuto ricevere cure mediche immediate e grazie all’equipaggio tutte sono state stabilizzate". 

Dopo quattro giorni di viaggio, tre in più di quanto sarebbe stato necessario con l’assegnazione di un porto sicuro più vicino, la Sea Watch 5 è giunta al Porto della Spezia, entrando in Rada attorno alle ore 6.00 e ormeggiando definitivamente attorno alle 8.30. Ma è "l’ennesimo tentativo da parte dello Stato di tenerci lontani dal mare - ha continuato Luca Marelli - dopo il soccorso abbiamo ricevuto comunicazione da parte del Centro di coordinamento di Soccorso di Roma di dirigerci verso La Spezia, porto assegnato per lo sbarco, per cui abbiamo impiegato 4 giorni di navigazione. Vediamo applicata la strategia del governo italiano che mira a tenere le navi delle ONG lontane dall’area delle operazioni. Tutto l’impianto basato sul decreto Piantedosi sulla prassi di assegnare i porti di sbarco a nord ha un solo obbiettivo che è quello di rallentare le operazioni delle ONG e di creargli un danno economico, poiché devono sostenere viaggi lunghi e bruciare una quantità inutile di carburante". 

“L’obiettivo è esattamente quello di impedire alle ONG di non essere lì dove servono - è l’opinione ormai comprovata di Sea Watch, conclude Merelli - ogni giorno ci sono imbarcazioni in pericolo ma l’obbiettivo del governo italiano è assicurarsi che li non ci siano navi che possono soccorrerle. Che li al massimo possa intervenire la cosiddetta guardia costiera libica, prendere le persone e riportarle indietro in Libia dove verranno sottoposte a torture, violenze e un ciclo continuo per cui dopo essere riportate indietro vengono incarcerate in centri di detenzione e lager che l’UE è l’Italia finanziano. All’interno di questi centri devono pagare un riscatto oltre ad essere torturate violentate e abusate, per poi riessere messi nuovamente in mare per ritentare di arrivare in Europa. Se gli va bene vengono soccorsi dalle ONG o se arrivano sufficientemente a nord dalle navi della guardia costiera. Altrimenti, di nuovo essere intercettati dalla guardia costiera libica e iniziare il solito ciclo da capo”.

 

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