Erano appena passate le 15 quando la nave “Geo Barents” di Medici senza frontiere ha attraccato, con alcune ore di anticipo, a Calata Artom, nel porto della Spezia. Subito sono scattate le operazioni di controllo e di accoglienza nei confronti dei 237 migranti, tra i quali ben ottantasette minori, raccolti dalla nave nel Mediterraneo: operazioni che, con la supervisione del prefetto Maria Luisa Inversini e delle autorità competenti, sono proseguite in serata e nella notte. Attorno e all’interno del porto già da alcuni giorni era in atto la mobilitazione di quelli che sono stati chiamati gli “angeli dell’accoglienza”: protezione civile, Caritas diocesana, Croce rossa italiana, forze dell’ordine ed altri ancora. Questa la prima linea, ma dietro di loro una città intera è parsa mobilitarsi.
“Da tutta la città - ha detto don Luca Palei, direttore della Caritas - abbiamo avuto una risposta generosa: hanno portato giacconi, abiti pesanti e alimenti ... Qui abbiamo duecento volontari, suddivisi in due gruppi, uno al terminal 1 e l’altro in calata. Abbiamo organizzato anche i turni notturni. Nella parte superiore del terminal avremo i minori non accompagnati, e sotto tutti gli altri. Abbiamo recuperato quasi duecento brandine. Abbiamo coinvolto educatori, psicologi e altri operatori. Senza dimenticare l’altra emergenza quotidiana, l’emergenza freddo, per la quale anche in questi giorni abbiamo dato accoglienza ad alcuni senzatetto”.
La nave di Medici senza frontiere è arrivata alla Spezia proprio all’indomani della Giornata della memoria. Ed è allora inevitabile il parallelo con quanto accadde, sempre al porto spezzino, circa due chilometri più ad est, nel mese di aprile 1946. Quando le motonavi “Fede” e “Fenice” presero a bordo centinaia di ebrei, molti dei quali sfuggiti a malapena all’orrore dei lager nazisti, e pronti a salpare per la “terra promessa”, la Palestina. Quelle navi partivano da Spezia, molo Pagliari, quella di ieri è arrivata, in calata Artom: ma le storie di chi parte e di chi arriva spesso sono simili, e parlano di sofferenze, di tormenti, ed anche di speranze. Anche allora c’erano in tanti a portare aiuto agli ebrei, bloccati da tanti ontrasti politici prima di salpare. Portavano, allora come oggi, indumenti, generi di prima necessità, cibi, specie per i più piccoli. Tanto che ancora oggi in Israele Spezia è chiamata “Porta di Sion”.
Anche allora, tra i tanti, c’era un prete, don Mario Scarpato, giovane parroco di Pagliari. Don Mario quasi ottant’anni fa, don Luca oggi, e con loro persone di tutte le fedi, unite dal desiderio di aiutare, di accogliere. E’ un grazie corale quello che i migranti di oggi, come quelli di tanti anni fa, diranno alla città e al suo porto: una storia che continua, e che illumina di speranza tempi purtroppo ancora oscuri.
(Egidio Banti)