Nella giornata di ieri a Genova, presso la sede del Dipartimento universitario di Scienze della Salute, ventidue infermieri liguri, in servizio in ASL 4 e ASL 5 (rispettivamente dodici e dieci) hanno conseguito la qualifica di Infermieri di Famiglia e Comunità (IFeC).
Presente nelle migliori intenzioni e programmazioni sin dalla fine del XX secolo, grazie a evidenze e grazie – purtroppo- agli esiti dell'ultima pandemia, adesso anche sul piano della normativa- con il DM 77 del 2022 -si è arrivati a riconoscere pienamente questa figura relativamente nuova.
Non si tratta dell'assistenza domiciliare integrata, che funziona anche con risultati di rilievo da molti anni, ma di una più estesa presa in carico delle persone più fragili e affette da malattie croniche che possono essere seguite al domicilio, naturalmente senza interruzioni di assistenza ed in ogni giorno dell'anno.
Nelle realtà dove questa figura è stata inserita seriamente, e con organizzazioni adeguate (alcune difficoltà sono naturalmente legate alla disponibilità delle dotazioni, in generale, oltre che alla formazione dei professionisti) si sono avuti risultati positivi oltre ogni aspettativa: in Italia sono state già analizzate e diffuse le esperienze del Friuli (la prima e più lontana nel tempo); quelle del Veneto; e la più recente, e significativa, esperienza della azienda sanitaria di Mantova.
In questa realtà, i dati divulgati a inizio 2023 spiegano come l'arrivo degli infermieri di famiglia abbia comportato un calo dei ricoveri impropri del 76%, e le visite specialistiche dell'80%: oltre al beneficio di chi è riuscito a ricevere cure a casa e non in una corsia ospedaliera, quanto è stato il risparmio per le esauste casse della Sanità?
La spiegazione è naturale e ovvia, ricordando che si sta parlando di malati noti e cronici; se uno di loro ha bisogno di assistenza, di un semplice controllo, o di qualcosa che può essere fatto al domicilio (dalla somministrazione del farmaco giusto, al rilievo dei parametri vitali, alla sistemazione di un presidio come una linea infusionale, un catetere vescicale ecc) se non trova nessuno che lo raggiunge a casa è chiaro che finirà al pronto soccorso.
Ed al pronto soccorso, strutture ormai intasatissime in tutta Italia, non verrà osservato per quella necessità, in quanto non si effettuano prestazioni di quel tipo, ma verrà ''trattato da capo'' come un malato di nuova insorgenza, sottoposto a nuove, costose indagini diagnostiche su pazienti comunque già noti e studiati da tempo, perché questo è ciò che si fa in un pronto soccorso e qualsiasi sanitario che ci lavora è pressoché obbligato, dalle attuali circostanze, a muoversi così (medicina difensiva, ecc).
Quindi, per il nostro Ordine è doveroso sviluppare, sostenere non solo questa figura, ma la nuova organizzazione richiesta dalle recenti leggi, in particolare le Case di Comunità, dove l'Infermiere di Famiglia non è solo l'erogatore di cure assistenziali, ma quella figura che garantisce la risposta assistenziale quando insorgono nuovi bisogni sanitari, in accordo con il MMG del cittadino.
Partire dalla formazione delle nuove professionalità, quindi, è il passaggio indispensabile, e di questo vorremmo oggi ricordare ai cittadini che la formazione specializzata di questi nostri colleghi è stata resa possibile grazie alla lungimiranza e alla generosità del Comitato Assistenza Malati dell'ing. Perioli, una realtà preziosissima del nostro territorio, che ha finanziato le borse di studio per coprire i costi del master universitario.
OPI La Spezia