132 giorni di attesa per un’ecografia ginecologica non urgente, 287 per una colonscopia, 230 per una visita chirurgica vascolare nelle strutture della ASL 1; 71 giorni per una radiografia in tempi brevi all’addome, 282 giorni per una visita dermatologica programmata presso la ASL2; 147 giorni per una spirometria da fornire in tempi brevi nella ASL3; 294 giorni per una visita pneumologica alla ASL 4; 102 giorni per una mammografia urgente nella ASL spezzina numero 5. Sono solo alcuni degli esempi dei tempi d’attesa nelle strutture sanitarie pubbliche in Liguria, registrati ad inizio luglio.
“I ritardi nell’erogazione dei servizi e altre difficoltà ad accedere alla sanità pubblica stanno provocando, anche in Liguria, un pericoloso allontanamento dei cittadini da cure, assistenza e prevenzione”, denuncia Luca Maestripieri, segretario generale della CISL Liguria.
“Quello che sta accadendo nella nostra regione rispecchia, purtroppo fedelmente, l’allarme dell’Istat. Sappiamo tutti che durante l’emergenza pandemica la quota di italiani che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie necessarie è quasi raddoppiata, passando dal 6,3% nel 2019 al 9,6% nel 2020– rileva Maestripieri – Nel 2022 la rinuncia in Liguria a prestazioni sanitarie per motivi economici, distanza e lista d’attesa secondo i dati ISTAT si è attestata al 5.8%. La Liguria si colloca sicuramente meglio rispetto ad altre regioni ed è un aspetto importante ma non può bastare anche perché il motivo di preoccupazione è un altro: fino a qualche anno fa erano ragioni economiche a impedire a molti cittadini di curarsi, mentre oggi, oltre a questo incidono le liste d’attesa che sono il motivo più frequente della rinuncia (il 3,8% della popolazione, sempre secondo l’Istat), a fronte di una riduzione della percentuale di chi non accede a servizi medici per difficoltà economica (2,9%). Sono numeri allarmanti, perché si sommano a quelli – in forte crescita – della spesa sanitaria a carico delle famiglie”.
Secondo i dati Istat elaborati dalla CISL, nel 2019 la quota di persone che ha rinunciato a visite o accertamenti specialistici tra le persone con risorse giudicate scarse o insufficienti era quattro volte superiore a quella di coloro che dichiaravano risorse economiche ottime o adeguate (12,4% contro 3%), mentre nel 2022 questa forbice si è ridotta. Al ridimensionamento del gap ha contribuito soprattutto l’aumento della rinuncia a prestazioni sanitarie tra le persone con risorse economiche ottime o adeguate (11,6% contro 4,7%). Tra i motivi della rinuncia è in aumento quello delle liste di attesa, che diventa il primo motivo tra i gruppi con migliori risorse economiche anche nel Nord del Paese. “Siamo in presenza di una tendenza che si sta trasformando in un’emergenza sociale – dice Maestripieri – L’accesso in tempi ragionevoli a servizi sanitari di qualità è un diritto che sempre più viene messo in discussione. Né è lecito chiedere ulteriori sacrifici al personale che opera, sempre più in condizioni assai difficili, nell’ambito della sanità”.