Il progetto adotta, per la prima volta, un approccio “olistico” alla gestione del fiume, prendendo atto che esso è un organismo vivente più che un sistema idraulico e che è un potenziale luogo di socialità, più che un “margine” del territorio costruito (un “non luogo” per quelli che, nonostante i divieti, continuano ad accumularvi rifiuti)
Per anni gli ingegneri hanno ritenuto che bisognasse costruire argini, dragare, eliminare ogni traccia di vegetazione per favorire lo scorrimento dell’acqua. Ma abbiamo potuto constatare che intervenire con violenza in un punto del fiume non risolve un problema, ma lo “trasferisce” nel Comune a valle, fino ai Comuni focivi che ne sopportano il costo.
Il progetto, al contrario, affida alla vegetazione la regolazione del fiume, non solo a quella che c’è, ma a quella che ci sarebbe se l’uomo, con le attività produttive prima e con l’incuria poi, non avesse favorito la proliferazione di specie alloctone e con i tagli indiscriminati non avesse impedito l’autogenerazione dell’ecosistema.
Dunque si tratta di aiutare la natura a riprendere il suo corso.
Il progetto individua un gran numero di aree, nell’alveo e nelle aree golenali del Magra, compresa la parte toscana (non tutta, per mancanza di dati), nelle quali effettuare interventi mirati di ripristino e di sostituzione vegetazionale, dosando le specie, arboree ed arbustive, in funzione del ruolo che esse possono svolgere nel trattenere la necromassa che oggi raggiunge gli arenili di Ameglia e Sarzana, nel proteggere le sponde dall’erosione, nel regolare il tempo i corrivazione delle piene, nell’ombreggiare le acque per proteggerle dal calore nel periodo estivo ed aiutare la conservazione delle specie.
Non è escluso un taglio più deciso della vegetazione, ma solo un poco a monte ed un poco a valle dei manufatti dell’uomo: il minimo indispensabile, insomma.
Interviene, inoltre, sui versanti per eliminare i pini e i castagni colpiti da fitopatologie, che cadendo alimentano il trasporto di necromassa alla foce, e per sostituirli con specie più resistenti, ripristinando la “tenuta” dei versanti e la funzionalità dei rivi minori, oggi sovente ostruiti dagli alberi morti.
Esso s’ispira ad un precedente progetto “sperimentale” del Parco (mosaico verde) presentato l’estate scorsa, per il riassetto ambientale di alcune aree del tratto finale del fiume nelle quali avevano sede attività produttive in contrasto ambientale, trasferite o in via di trasferimento altrove.
E ne riprende i principi, tra i quali la realizzazione di percorsi ciclabili, per trasformare il fiume in un luogo di socialità, come una volta è stato, ed offrire al turismo altre carte da giocare nella competizione globale - perché di questo oramai si tratta – quando il Paese potrà finalmente ripartire.
Abbiamo previsto 5 anni ed 8 milioni di euro per realizzare il progetto.
Dopo la fase d’investimento è prevista una fase di gestione “ad economia circolare” per il riuso degli sfalci da “manutenzione” del verde e della necromassa, che sarà accumulata in alcune aree appositamente predisposte a monte, prima che raggiunga la foce.
Con il progetto vorremmo anche preparare il terreno “culturale” per la istituzione del Parco Nazionale, rimarcando quanto è importante questo bistrattatissimo fiume per tutti noi e quanto potrà esserlo per le prossime generazioni (next generation UE, appunto) se la nostra saprà riconoscerne il valore.
Pietro Tedeschi