Diciamocelo chiaramente: il vento è mutato. Per la prima volta da quasi mezzo secolo, il governo della nostra città potrebbe cambiare colore politico e il centro sinistra perdere la sua responsabilità amministrativa, ininterrottamente gestita dal 1972, da 45 anni.
Potrebbe essere interessante provare ad analizzare meglio questa “novità”, cercare di capirne i motivi che l’hanno provocata ma anche provare a guardare avanti.
Navigando a vista fra i social, ascoltando le persone, leggendo commenti alle dichiarazioni ufficiali, sembra proprio che il Partito Democratico, quello stesso partito che solo pochi anni fa era in grado di mobilitare la maggioranza dei cittadini, non è più collegato con tutta la città, non è più in sintonia con la “gente”; lo dico con molto rispetto per i suoi dirigenti, ma questa pare davvero una realtà. Si vede e si ascolta (e non certo da qualche mese!) un distacco, un solco, una mancanza di sintonia tra i vertici e i cittadini di orientamento di centro sinistra. In alcuni casi, perfino un vero e proprio sentimento di antipatia, di forte disaffezione. Non in tutti, certo, ma in molti.
Questa frattura (che in alcuni casi dagli elettori si è addirittura estesa anche ai militanti, alla base) ha ragioni generali che rispecchiano un problema nazionale (il renzismo del partito che, di fatto, ha spaccato in due il PD) ma ha anche risvolti locali. La brutta sconfitta alla Regione, invelenita e anticipata dai supposti brogli “cinesi” alle primarie, il sempre più accentuato “personalismo” nella gestione, la non esaltante stagione dell’ultima giunta Federici che, insieme a diverse cose buone, ha inanellato una serie di cadute, soprattutto sul versante della partecipazione e dell’ascolto dei cittadini, la profonda spaccatura interna sul referendum di novembre, la non banale scissione di Mdp…
Se questo era lo scenario, per queste elezioni tutti si aspettavano un colpo d’ala, un recupero di partecipazione, un coinvolgimento allargato. Una “botta di fantasia”. Insomma, in concreto, le primarie, per far scegliere il candidato da proporre come Sindaco a tutti i militanti e agi elettori di riferimento. C’è da dire che Andrea Orlando aveva intuito la crescente disaffezione della base e la sua proposta di sacrificare le primarie sull’altare di una candidatura forte, civica e fuori dagli schemi e dai soliti nomi di partito, voleva proprio cercare di salvare il salvabile. E invece, grazie alle solite e logore logiche delle “appartenenze” interne, si è deciso di andare avanti con i vecchi schemi. Riuniti in una lontana torre d’avorio, tre persone (alcuni ironizzano due e mezzo per il diverso peso politico: Orlando, Paita e Benifei) hanno tirato fuori dal cilindro una soluzione impapocchiata: un socialista (e dunque ufficialmente uomo non PD) ma comunque in totale continuità con la giunta uscente, nominato personalmente dai tre (certo, poi ci sono state le votazioni dell’Unione Comunale ma su, non raccontiamocela…) e senza alcun passaggio di primarie e di discussione. Intendiamoci: Paolo Manfredini è un galantuomo e persona capace ma, purtroppo, è figlio di questa storia e questa storia rappresenta.
Ecco allora il proliferare di liste civiche nello stesso arco di centro sinistra (record storico!), appoggiate anche ufficialmente da elettori PD, ecco allora la decisione di rottura di un personaggio come Forcieri e, soprattutto, ecco allora la disaffezione al voto e la caduta abissale al 15 per cento del PD.
E così si arriva (almeno) al ballottaggio con il centro destra avanti di oltre sette punti percentuali. Un centro destra astuto che, sotto la regia attiva e indaffarata del presidente della Regione Toti, è riuscito a riunire tutte le anime del centro destra (e con gli apparentamenti ha anche sconfinato), è riuscito a trovare il “candidato perfetto” (che ha “drenato” un 2 per cento di voti direttamente dal bacino PD), è riuscito a impostare una campagna elettorale efficace perché basata impietosamente sui punti di debolezza della giunta Federici e soprattutto è riuscito a cogliere quel desiderio di cambiamento e di partecipazione così diffuso (“cambiamo insieme”, slogan che riassume bene questa strategia).
Domenica sarà il momento della verità. Riusciranno gli appelli un po’ datati alla “diga antifascista” a fermare il vento? Riuscirà la pallida pacatezza e la signorilità di Manfredini (e le ultime dichiarazioni di autonomia dal PD) a entusiasmare e recuperare i disaffezionati, i non votanti, i delusi? Riuscirà a dare credibilità e sostanza (e dunque voti) all’anelito di cambiamento e partecipazione che dilaga?
E dal lato opposto, riuscirà l’ex sindacalista Peracchini a contenere gli acuti leghisti e a convincere, cercando di non eccedere, almeno nelle promesse elettorali (“abbasseremo le tasse”, ipse dixit)?
Lo scopriremo solo… votando. In qualunque caso, questa città dovrà andare avanti comunque per affrontare e vincere le sfide del suo futuro. E per fare questo non ci saranno ballottaggi di sorta.