Ha vinto l'idea che nessuno si salva da solo e che il futuro è una sfida collettiva.
L'idea di una politica che riparte dalla verità, lontana anni luce dai "lustrini" del Berlusconismo e dalla "comunicazione senza verità" che tanto drammaticamente abbiamo sperimentato nel corso di questi interminabili anni. L'idea di riappropriarsi della dimensione complessa dei problemi, contrapposta alla logica della semplificazione "a 140 caratteri" dell'era di tweeter.
Ha prevalso il progetto sul leader, ha vinto la piattaforma dei progressisti Europei e la consapevolezza che il futuro si gioca in Europa e non dentro ai confini nazionali.
Ha vinto il concetto che il rinnovamento è un processo, da tempo innescato nel PD e in tutto il centrosinistra, che non deve avvenire per via traumatica ma perseguito con costanza, giorno dopo giorno, grazie ad una selezione quasi" chirurgica" che non guardi esclusivamente al dato anagrafico.
Ha vinto, soprattutto, l'idea di rimettere al centro la Politica con la "P" maiuscola: quella buona, sobria, partecipata al servizio delle esigenze reali delle persone e non della finanza internazionale. La Politica che non ha paura di difendere le virtù della Politica.
Hanno vinto, lasciatemelo dire, anche i Partiti e la convinzione che senza Partiti solidi, organizzati, fatti di storia, valori e tradizioni, non c'è più Democrazia. Ma di meno.
Ma non ci si adagi sugli allori: è assolutamente necessaria una legge sui Partiti che garantisca trasparenza, formazione, contendibilità della leadership e, soprattutto, Democrazia interna.
La vittoria di Bersani è la risposta a chi vorrebbe il Montismo dopo Monti nella (sbagliata) convinzione che si sopperisce alle carenze della politica e dei Partiti con più "tecnica" ed eliminando i "corpi intermedi".
Con queste Primarie il PD ha dimostrato di avere sia radici forti che foglie nuove e di essere, senza alcun dubbio, il perno della Democrazia in Italia.
A Bersani va riconosciuto il merito di aver voluto queste Primarie ed averlo fatto garantendo il massimo grado di apertura.
Sapeva di correre un rischio ma era altrettanto conscio che solo Primarie aperte avrebbero rivitalizzato il PD e intero Centrosinistra.
Non partiva da una posizione facile: non era nuovo, doveva giustificare gli errori che la sinistra di Governo ha compiuto negli ultimi vent'anni doveva motivare il ruolo al contempo critico e di leale sostegno del PD nei confronti di un Governo la cui agenda, fermo restando il punto di non ritorno del rigore e della credibilità internazionale, va ribaltata per intero al fine di renderla più equa e solidale.
Perché è ora che paghi chi non ha mai pagato. E' ora di ridurre la forbice della disuguaglianza in Italia e in Europa.
C'era inoltre da fare quell'operazione, che Bersani ha ben sintetizzato nel riferimento a Giovanni Paolo XXIII: garantire il cambiamento senza spaventare.
Bersani non ha mai perso né bussola né lucidità ma, anzi, ha continuato a rassicurare sul fatto che qualunque cosa fosse accaduta, il PD non si sarebbe spaccato, ci sarebbe stato.
Ha puntato su un rinnovamento voluto (ed anzi agevolato) anche dalle esperienze, stabilendo un principio che ritengo fondamentale: si può essere importanti alla causa anche senza stare in prima linea.
L'annuncio di D'Alema, poi, di non ricandidarsi, l'ha oggettivamente agevolato nel compito.
Il Segretario del PD sapeva bene che"il mondo ci stava guardando" e che il margine di errore era prossimo allo zero. Col senno di poi possiamo dire che non ha sbagliato una mossa e dimostrato, anzi, un'incredibile capacità di tenuta.
Conquistare quelli che, come me, sono "nativi" del PD e non lo hanno sostenuto al Congresso non era impresa né semplice né scontata.
Esserci riusciti trasformandoci in sostenitori convinti (e per questo convincenti) è il segno di una grande capacità di leadership: quella giusta per guidare l'Italia nei durissimi anni che verranno.
Oggi grazie alle Primarie il centrosinistra, quello composto dal PD, da SeL, dal "Nuovo Psi" e dalle tante formazioni civiche che hanno aderito al progetto negli scorsi mesi è un "popolo" a tutti gli effetti.
Un popolo in carne ed ossa, fatto di nomi e cognomi e tanta voglia di impegnarsi nella riscossa civica del paese.
Un popolo con i tratti di serietà, umanità e cambiamento di Bersani, la sensibilità ambientalista della Puppato, che ha il pragmatismo di Tabacci.
Un popolo che "profuma" del racconto di Vendola.
Un popolo che ha nel motore la grande energia e la forza innovatrice di Matteo Renzi che, credo, abbia dato il meglio di sé nel suo discorso del 2 Dicembre, a poche ore dalla chiusura dei seggi.
E' in quel frangente che ha dimostrando, probabilmente, di essere migliore dei suoi più stretti collaboratori che hanno avuto il torto di metterlo al centro di una campagna elettorale discutibile nell'impostazione e che (i dati stanno li a testimoniarlo) non gli ha giovato un granchè. Il Sindaco di Firenze ha ottenuto un risultato per certi versi clamoroso, che il PD deve avere la capacità di valorizzare e non sottovalutare perché, seppur in forma non del tutto condivisibile, porta con sé una reale domanda di rinnovamento della politica: nelle forme, nei contenuti e nelle persone.
Ora la priorità è mettere a sistema la grande partecipazione Democratica che ha portato a votare più di 3 milioni di persone e lo si deve fare grazie al coinvolgimento di questa "Comunità politica" (la più grande d'Europa) ad esprimersi su un' "agenda di cambiamento.
Il 25 e il 2 Dicembre abbiamo "contato" i nostri elettori e simpatizzanti.
Ora tocca a Noi individuare gli strumenti democratici necessari a "farli contare".
Michele Fiore Capogruppo PD Lerici
Segretario PD San Terenzo.