Cari colleghi, vi scrivo da amico e padre di famiglia, esulando da ogni mio incarico associativo o istituzionale. Questa maledetta crisi ha accentuato ancora di più le situazioni difficili, per uscire dalle quali ognuno ha cercato di inventarsi modalità spesso singolari. Alcuni si sono rifugiati nell'apparente sicurezza costituita dal piazzare nei propri esercizi un paio di videopoker o slot machine e godere dei considerevoli cespiti derivanti dall'utilizzo delle stesse. Chi vi scrive conosce bene la disgrazia del gioco d'azzardo e la capacità della ludodipendenza di rovinare uomini, affetti, famiglie e patrimoni. Vorrei qui sottolineare che non è il nostro lavoro, colleghi: la nostra missione è accogliere i clienti con un sorriso, regalare loro un buon giorno, un buon pranzo, una buona serata. Non abbiamo nulla a che vedere con il mondo del gioco d'azzardo e i suoi mille risvolti, spesso non chiari, ma sicuramente drammatici. Personalmente sono convinto che ne usciremo anche senza costringere i nostri amici e avventori a regalarci parte dei loro averi, perché, ricordatelo sempre, il solo calcolo delle probabilità mette ogni giocatore in palese soggezione. Ne usciremo se torneremo a fare il nostro mestiere, sorridendo e augurando un buon giorno a chi entra nei nostri locali e lasciando ad altri il compito ingrato di rovinare famiglie. Per questo vi chiedo di tenere fuori dai nostri esercizi ogni strumento d'azzardo che regala miseria. E nella miseria si vive male tutti, noi compresi. Ne usciremo. Scommettiamo... un caffè?