La pressione fiscale sottolinea la nota di Confartigianato resta improponibile per imprenditori abituati a misurare la redditività in rapporto a quanto investito: la metà del reddito di un'impresa se ne va in tasse nazionali, un quinto in tasse locali e per incombenze burocratiche se ne va un altro 10/15%. In tale situazione far impresa in Italia è diventato un esercizio masochista e inumano. "Va aggiunta una riflessione – aggiunge il presidente dell'Associazione della PMI - che le piccole imprese dell'artigianato e del commercio, dispongono come è naturale di poco capitale proprio, sovente inversamente proporzionali all'indebitamento, ragione per cui ottengono difficilmente credito dalle banche e lo pagano in maniera molto salata, si può comprendere benissimo che una politica di crescita non possa che passare che da provvedimenti governativi che comincino ad eliminare alcune di queste difficoltà. Occorrerebbe inoltre ridefinire nuovi indirizzi industriali e commerciali che dovrebbero sostituire o integrare quelli obsoleti, che siano in grado di rilanciare la domanda utilizzando gli incentivi fiscali e fissando rigide regole di comportamento contro l'evasione previa ridefinizione del sistema tributario". La Confartigianato spezzina vuole sottolineare che l'attuale assetto che punisce le piccole imprese individuali o s.r.l. va nella direzione inversa e invita a non fare impresa e a guardare oltre l'asticella della virtuosità fiscale. Il Documento di Economia e Finanza essendo pluriennale e a breve termine, avrebbe quindi dovuto riservare ben altra attenzione alle partite IVA destinate ad operare solo in Italia. Non averlo fatto depone negativamente sul Governo Renzi come su tutti i precedenti, per la disattenzione verso il tessuto produttivo e commerciale, mettendo a rischio ogni tentativo di ripresa e di crescita, senza la quale è a rischio la stessa pace sociale.