Guido Galletti nato alla Spezia nel 1966, ideatore e proprietario dell’Ittiturismo Corniglia SP4488, si racconta. Da una vita dentro il km zero della terra, da una vita in mare, da una vita nelle Cinque Terre.
Guido Galletti, se ne parla spesso: le Cinque Terre sono un argomento che ciclicamente salta fuori. Come per la nazionale di calcio, tutti hanno soluzioni e ricette per i problemi che ancora non si sono risolti. Lei che vive quella terra e quel mare da decenni si è mai spiegato il perché di questa mania?
Questi luoghi hanno sempre avuto un grande successo grazie alla loro bellezza, alla loro storia, alla loro collocazione geografica. Inizialmente vi era un turismo europeo poi, circa venticinque anni fa, un “anchorman” americano le ha scoperte e pubblicizzate. Ed è questo il passaggio chiave che ha creato le condizioni per l’arrivo in “massa” del turismo americano che poi, in un secondo momento, si è esteso a tutte le altre nazioni nel mondo. Ora tutti vogliono vederle le Cinque Terre, ora tutti vogliono viverle e vogliono esserci. Questo fenomeno indubbiamente ha creato la necessità di una regolamentazione perché non vengano distrutte.
Lei con la sua storia di vita e con la sua nuova proposta imprenditoriale di ittiturismo a km zero ha dimostrato coraggio e coerenza. È un modello replicabile-esportabile o anche lei a volte pensa “chi me lo ha fatto fare?”
Si, dovrebbe essere un modello replicabile ed esportabile perché sono convinto che la produzione locale sia a tutto tondo lo strumento più efficace per mantenere ambiente, tradizione, ecosostenibilità.
Voglio essere onesto: “chi me l’ha fatto fare” lo penso spesso considerate le difficoltà quotidiane che si devono affrontare. Ma vado avanti perché la soddisfazione di vedere un progetto che cresce tutelando la nostra terra e un’idea di sviluppo è qualcosa di unico.
Quale clientela caratterizza le presenze nel suo ittiturismo? Gli spezzini vengono o sente parlare soltanto americano?
La nostra clientela parla prevalentemente italiano, le regioni limitrofe caratterizzano le presenze più numerose. Ci sono tanti spezzini che frequentano l’ittiturismo e questo è certamente motivo di orgoglio. Certifica che il nostro progetto di sostenibilità e tutela del territorio sta circolando con successo. Abbiamo anche una clientela non italiana. Una presenza che apprezza la bellezza di un territorio considerato unico anche all’estero.
Le Cinque Terre rappresentano oggi una meta per milioni di turisti. Però non è sempre stato così. L’anno zero è rappresentato dalla “stagione Bonanini”, dopo il suo arrivo al Parco è cambiato tutto. A lei quale storia piace ricordare? A quale stagione si sente più vicino?
È così, dopo l’arrivo di Bonanini è cambiato tutto. Una stagione di sviluppo che però non è stata incanalata correttamente pensando a quella che poi sarebbe diventata la funzione del Parco…
A quale stagione mi sento più vicino? Ricordo gli anni novanta con nostalgia. Ricordo quel periodo come una fase nella quale i ritmi erano diversi, le presenze erano indubbiamente inferiori rispetto a quelle di oggi, ma il turista era più soddisfatto della sua esperienza. L’offerta era sostenibile e coerente con un’idea di sviluppo e difesa della bellezza. E qua mi fermo perché dovremmo parlare per ore e ore…
Sono anni che si sente discutere dell’ipotesi Comune Unico delle Cinque Terre. È un’architettura istituzionale che lei vede realizzabile o ritiene che sia teoria accademica?
La proposta del Comune unico è un sogno che spero si avveri presto. Al momento però credo sia molto difficile perché non c’è ancora unione di intenti tra i Comuni. “Unirsi”, uso questo termine, diventa sempre più necessario perché siamo rimasti in pochi nelle Cinque Terre. Abbiamo tutti gli stessi problemi: il servizio della pubblica assistenza, il medico di base, la scuola e i sentieri da tenere vivi e in sicurezza… Perché solo noi “autoctoni” conosciamo veramente la difficoltà di vivere qui 365 giorni all’anno, a differenza di chi viene da fuori solo per business senza preoccuparsi di mantenere il fragile equilibrio di questi piccoli paesi, e senza quella necessaria empatia con la nostra storia, i nostri anziani, le nostre fatiche. Solo mettendo tutti insieme sotto un’unica bandiera possiamo sperare di avere più forza politica per programmare un futuro migliore. Siamo tutti nella solita terra. Le Cinque Terre sono di fatto, da diverso tempo, un unico territorio.
Si è da poco concluso il 2023. Che stagione turistica è stata? E per il 2024 cosa prevede?
Dopo la pandemia il turismo è aumentato molto e quindi il problema più rilevante non è l’incasso ma la gestione dei flussi enormi in un territorio così fragile.
Una sproporzione esagerata tra spazi e persone che inevitabilmente crea delusione.
Questa pressione antropica crea ostacoli alla fruibilità del territorio, tanto malcontento infatti è frutto di ciò che non si riesce a vedere, di ciò che non si riesce a vivere e ad assaporare. Un problema strutturale che non può essere messo da parte se vogliamo affrontare seriamente il dibattito su quale idea di sviluppo vogliamo.
Il 2024 lo vivo con grande preoccupazione perché non si è ancora arrivati a programmare la gestione dei “grandi gruppi” che a mio modo di vedere dovrebbero poter venire in un altro momento. Sento parlare di destagionalizzazione, bene, programmiamo questi arrivi fuori stagione ipotizzando delle tariffe ad hoc, agevolate e mirate nell’offerta che si va a proporre.
In definitiva.. cosa immagina e cosa si augura per il futuro di queste terre così fragili?
Spero che venga pianificato almeno il prossimo decennio. Parco Nazionale delle Cinque Terre, Comuni del territorio, Regione Liguria e residenti seduti allo stesso tavolo per avanzare una proposta che traduca una visione comune di quello che sarà. È troppo importante. La sostenibilità, i residenti del territorio e l’industria del turismo possono convivere in una forma equilibrata e rispettosa di questo splendido angolo di Liguria.