Il libro narra la vicenda del giornalista e scrittore Stanis Ruinas alla direzione del giornale del Partito Nazionale Fascista di Massa Carrara nel 1930. Il giornalista impostò un giornale «di battaglia», che condusse campagne contro le banche, i commercianti, la stampa, industriali elettrici, mentre verso gli industriali del marmo locali fu condotta una campagna di moral suasion.
Ruinas apparteneva alla variegata galassia dei fascisti «rivoluzionari» spesso indicati con la definizione «sinistra fascista». Essi, al contrario dei conservatori, che erano soddisfatti della restaurazione di un ordine autoritario e delle tradizionali gerarchie sociali, vedevano nel fascismo la proposta di un'alternativa alla vecchia civiltà borghese, una terza via tra il liberalismo capitalistico e il comunismo sovietico (quest'ultimo giudicato comunque meno deprecabile del primo).
Ruinas si trovò impegnato nelle difficili vicende della provincia apuana, che coinvolsero anche la Lunigiana e in particolare Pontremoli: la fine del dominio del ras locale (Renato Ricci), a conclusione del lungo conflitto con i grandi industriali (i «baroni del marmo»); la riorganizzazione del fascismo provinciale; la crisi industriale e l'intervento del governo; i rapporti con il mondo cattolico e la sua stampa, che implicarono un aspro attacco anche al «Corriere Apuano» di Pontremoli, nei giorni dell'ingresso in diocesi del vescovo Giovanni Sismondo.
Ma il direttore del giornale fascista non poteva trascurare temi di rilevanza nazionale, sui quali pose l'impronta dell'intransigentismo fascista: politica estera, corporativismo e sindacalismo, questione femminile, rapporti con la Chiesa.
Ruinas lasciò la direzione per una sospensione disciplinare dal partito, ma egli stesso aveva già chiesto il trasferimento per l'isolamento politico avvertito nello svolgimento del suo lavoro: il suo fascismo «rivoluzionario» non era compatibile con il fascismo «conservatore» tornato alla guida del PNF locale con la sconfitta di Ricci.
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