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L’isola di San Venerio non sarà più “l’isola che non c’è” In evidenza

In occasione della presentazione del volume "Tino, isola di sorprendente bellezza", la Sovrintendeza ha annunciato uno stanziamento per completare il restauro dell'antico refettorio.

“L’isola che non c’è”, così definì l'Isola del Tino citando Bennato il sindaco della Spezia Pierluigi Peracchini quando parlò con l’ammiraglio di squadra Giorgio Lazio, appena insediatosi al comando del dipartimento spezzino.

Lazio si meravigliò e, prima e dopo la conclusione del suo servizio, decise di adoperarsi perché la dannunziana “isola del faro”, così chiamata da fine Ottocento per lo storico faro della Marina militare, ma molto prima isola di san Venerio e dei suoi monaci, potesse essere restituita agli spezzini e non solo a loro.

In pochi anni, grazie soprattutto all’intraprendente capacità di Elisabetta Cesari, fondatrice e presidente dell’associazione “Amici dell’isola del Tino”, passi avanti ne sono stati fatti, e ieri mattina, nel salone del circolo ufficiali, se n’è avuta conferma.

In primo luogo è stato presentato il volume “Tino, isola di sorprendente bellezza”, che contribuirà al rilancio della conoscenza dell’isola ben oltre il Golfo. In secondo luogo, Aurora Cagnana, direttrice archeologa alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Genova, ha annunciato uno stanziamento ministeriale concesso per completare il restauro dell’antico refettorio, e con esso un rinnovato percorso di visita, alla cui gestione contribuirà il Club alpino italiano.

L’isola, insomma, tornerà ad essere visitabile da un pubblico ben più vasto che nel passato, quando l’accesso era consentito - dalla fine degli anni Cinquanta - solo in occasione delle feste annuali di San Venerio. Il libro presentato ieri, ricco di un apparato fotografico di notevole qualità, contiene contributi e approfondimenti di ben trentotto autori. Molti fanno riferimento, né potrebbe essere altrimenti, alle radici religiose della presenza umana sull’isola.

Si parla dunque a lungo di san Venerio e dei suoi eremiti, del monastero successivo, dei legami con altre terre, e infine, con un contributo di monsignor Paolo Cabano, docente di Storia e direttore dell’archivio storico diocesano, delle vicende della rinascita del culto, dovuta all’associazione “Pro insula Tyro” (“Tyrus” o Tiro, come spiega un altro contributo, è il nome antico dell’isola, di origine probabilmente fenicia, se non più antica, comunque solidamente mediterranea) e a una bolla del papa san Giovanni XXIII alla fine degli anni Cinquanta. Radici cristiane che davvero uniscono insieme la storia dei popoli e la bellezza di un’”isola di luce”.

(Egidio Banti)

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