La stagione di prosa al Teatro Impavidi prosegue martedì 28 e mercoledì 29 novembre, con un’altra prima regionale, dopo il successo di Storia di un corpo che ha visto sul palco Giuseppe Cederna. Questa volta tocca a Ferdinando, capolavoro della drammaturgia di Annibale Ruccello, meraviglioso drammaturgo scomparso prematuramente negli anni ottanta, diretto e interpretato da Arturo Cirillo.
Prodotto da Marche Teatro, Teatro Metastasio di Prato e Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, il grande testo classico rivive nella messa in scena dell’artista napoletano. Siamo nell’agosto 1870: il Regno delle Due Sicilie è caduto e la baronessa borbonica Donna Clotilde è “ammalata” di disprezzo per il re sabaudo e per l’Italia piccolo-borghese nata dalla recente unificazione. Poi c’è Gesualda, cugina povera e acida, infermiera all’ipocondriaca nobildonna e amante di Don Catellino, prete di famiglia corrotto e vizioso. Infine Ferdinando, misterioso orfano sedicenne, lontano nipote di Donna Clotilde, che compare gettando scompiglio nella casa, riaccendendo passioni e smascherando vecchi delitti.
Dalle note di regia di Arturo Cirillo
Logica ed inconsueta, allo stesso tempo, mi appare la mia decisione di portare in scena Ferdinando di Annibale Ruccello. Logica perché riconosco in Ruccello un mio autore, un autore sul quale sono tornato più volte, e con spettacoli per me importanti. Ma la scelta mi appare anche inconsueta, poiché per me Ferdinando è sempre stato legato allo spettacolo che curò l'autore stesso (nonché primo interprete del ruolo di Don Catellino), che ha girato per molti anni tutta l'Italia avvalendosi della grande interpretazione di Isa Danieli. Inoltre per me il testo è sempre apparso molto diverso da tutti gli altri di Ruccello, un testo più realistico, storico, un dramma con una struttura classica. Il desiderio per un inafferrabile adolescente, nato da un inconsolabile bisogno d'amore, matura nella mente di tre personaggi disperati (Donna Clotilde, Donna Gesualda e Don Catello), prigionieri della propria solitudine, esacerbati dall'abitudine. Allora tutto l'aspetto storico mi è apparso una finzione, un teatro della crudeltà mascherato da dramma borghese, in cui anche la lingua, il fantomatico napoletano in cui si sostanzia Donna Clotilde, è esso stesso lingua di scena, lingua di rappresentazione, non meno del tanto "schifato" italiano.
Una scena composta da un unico grande drappo che scende dall'alto e contiene il luogo dell'azione, un luogo claustrofobico in cui convivono tutti i personaggi, che vediamo spogliarsi, rivestirsi, incontrarsi (come in un film di Luis Bunuel). Personaggi rinchiusi in abiti scuri, monacali e preteschi, per devozione o lutto, ma forse solo per difesa. Illuminati da luci rivelatrici, come in un miracolo pagano, dove l'intimità delle note di un pianoforte convivono con quelle sontuose e barocche di un organo. Poi c'è Ferdinando, ragazzino normale di un tempo presente, portatore solo del proprio corpo giovane sul quale gli altri tre personaggi, di questo quartetto, disegnano le proprie visioni e i propri desideri. Trascendendo dalla persona in sé, come spesso avviene nell'innamoramento, si ingannano e si lasciano ingannare. Dopo gli resta solo la constatazione del proprio fallimento e della propria folle e disperata solitudine, in un luogo spettrale abitato dai morti e dai ricordi. Mi pare che con Ferdinando, ancora una volta e ancora di più, Ruccello faccia fuori i generi, sessuali e spettacolari, per mettere in scena l’ambiguo e il sortilegio.
Arturo Cirillo
Biglietti singoli:
1° classe intero 24 - ridotto 21 - studenti 10
2° classe intero 20 - ridotto 17 - studenti 8
3° classe - intero 14 - ridotto 12 - studenti 6