Siamo a Salamanca, cuore dell’accademia spagnola, dove Unamuno è rettore da tempo. Amenabar guarda con fiducia, sicuramente non con scetticismo, al colpo di stato militare.
Un percorso che lo porterà presto, anche per la carcerazione di persone a lui vicine, a prendere una posizione ben diversa. Il film ha il merito di raccontare una figura di intellettuale celeberrima nel suo paese, in quegli anni come oggi, con le sue ambiguità, i suoi errori e la sua messa in dubbio tardiva dei principi in cui aveva creduto.
Un’indagine storico-politica non banale e non frequente in Spagna, dove i conti con il franchismo non si sono mai realmente fatti e la ferita non è ancora cicatrizzata, né il lutto è stato pienamente elaborato attraverso una visione dei fatti condivisa da tutti, nella monarchia che ha poi preso il potere.
Particolarmente significativo è l’incontro di Unamuno con Franco, appena nominato leader (poi generalissimo, poi jefe, equivalente del Duce mussoliniano e del Fuhrer hitleriano) dai suoi colleghi generali, con un mientras dure la guerra, fintanto che duri la guerra, sparito nella notte dal documento ufficiale.
I due si ritrovano a Salamanca quando il governo militare si sposta lì, con tanto di giornata dedicata alla razza, momento cruciale e migliore del film, per le parole di cristallina dignità e dall’alto valore morale declamate da Unamuno davanti a un pubblico di militari, generali, intellettuali e professori venduti al nascente regime, oltre alla moglie cattolicissima di Franco.
Dal Grande regista Alejandro Amenabar, regista di lavori come Apri gli occhi e The Others, ma anche Mare dentro e Agora.