"I Musei della Spezia sono pronti a spalancare le loro porte ai visitatori dal primo giorno di zona gialla inaugurando in contemporanea al Camec, al Lia, al Castello San Giorgio, all'Etnografico, al Museo del Sigillo e alla Palazzina delle Arti sei mostre con un unico fil rouge: come l'arte interpreta la natura morta nel corso dei secoli, dall'epoca romana alla contemporaneità – dichiara il Sindaco della Spezia Pierluigi Peracchini – Per la prima volta, tutti i musei civici della Spezia partecipano insieme alla costruzione di un percorso museale integrato e coordinato che offrirà al visitatore un'esperienza inedita nelle tappe della storia dell'arte su un tema comune e fortemente indagato dal punto di vista estetico.
Valorizzando le collezioni dei nostri musei civici valorizziamo il nostro patrimonio artistico spezzino, e esponiamo al pubblico opere finora mai viste con un ampio approfondimento storico-artistico. Alla Spezia il virus non ha mai vinto sulla cultura: tutti i servizi culturali hanno lavorato senza sosta, dietro le quinte, a porte chiuse, per poter essere pronti il primo giorno utile non solo alla riapertura in completa sicurezza ma soprattutto a inaugurare sei mostre in contemporanea e in sinergia. Un grande orgoglio e una grande soddisfazione perché siamo veramente una delle poche città italiane ad aver dato un segnale concreto nel settore della cultura".
La riapertura di tutti i musei della Spezia è contraddistinta da un percorso di valorizzazione sinergica del loro intero patrimonio culturale e artistico. Il fil rouge, la natura morta, che rappresenta uno dei territori più perlustrati dall'arte figurativa fin dall'antichità, consente di attivare per il pubblico una stimolante fruizione diffusa, attraverso la visita a diverse sedi espositive.
Nell'ottica di tale risonanza si inserisce una proficua collaborazione scientifica e progettuale fra i musei civici: Museo 'Amedeo Lia', Museo Archeologico Castello San Giorgio, Museo Etnografico 'Giovanni Podenzana', Museo del Sigillo, Palazzina delle Arti, capofila il CAMeC, con un ampio approfondimento dalle proprie collezioni.
CAMeC | Centro Arte Moderna e Contemporanea
Still, still life. La natura morta nelle collezioni del CAMeC
a cura di Eleonora Acerbi e Cinzia Compalati, con la collaborazione di Cristiana Maucci e Barbara Viale
Focus on Still Life. Simboli ed elementi nella natura morta
a cura di Cristiana Maucci in collaborazione con Anna Nancy Rozzi
Con Still, still life il piano 1 del CAMeC accoglie un'ulteriore e inedita selezione dalle raccolte permanenti, curata da Eleonora Acerbi e Cinzia Compalati, affrontando un tema cardine della storia dell'arte, la natura morta. In epoca contemporanea la natura morta - o natura in posa, o still life nella sua efficace accezione anglosassone - si rinnova e incontra molte e discordanti chiavi di interpretazione, intatto il dialogo, fisico e metafisico, fra arte e oggetto.
Il CAMeC propone un'ampia rivisitazione del tema attraverso pronunciamenti molto diversi attinti da tutti i fondi delle proprie raccolte, nel segno della relazione biografica, concettuale, strumentale, poetica e magica che vincola l'uomo all'oggetto, naturale o manufatto, da sempre e probabilmente per sempre argomento della ricerca dell'artista.
Il progetto espositivo si dipana attraverso l'accostamento di opere che dialogano fra loro dimostrando la persistenza del genere nell'affinità o distanza del linguaggio formale: nel comune riferimento al tema di tradizione, il visitatore incontra ed è sollecitato a confrontare identici vocaboli in diversi componimenti, compiendo ad un tempo un percorso attraverso alcune fra le più rilevanti correnti della seconda metà del XX secolo. Fil rouge, appunto, la sopravvivenza del genere in epoca contemporanea in alcune anche distanti declinazioni: dall'intimismo delle nature in posa di de Pisis, Slabbink e Tosi, all'aggiornamento postcubista (Basso, Santomaso), al paradigma morandiano in un'acquaforte del '61, all'opzione astratta ancorché memore del tema (Montarsolo, Spinosa), alla virtuosa e poetica verosimiglianza, alla dissacrazione pop e novo-realista (Pozzati, Wesselmann, Spoerri, Tadini), oltre a numerose ulteriori interpretazioni, comprendenti anche l'impiego della calcografia, sovente raffinata depositaria di questa indagine.
Il progetto espositivo include anche diverse opere non strettamente riconducibili al genere ma nelle intenzioni della mostra assimilate ad esso: si tratta di rappresentazioni fondate sulla preminenza dell'oggetto, selezionate per il loro riverbero simbolico, oltre che per la consonanza ed il dialogo generati dall'accostamento ad altre (fra gli altri, lavori di Boetti, Kounellis, Spoldi).
La silloge è composta da oltre 60 opere di 57 autori, fra i quali Arman, Alighiero Boetti, Cy Twombly, Filippo de Pisis, Otto Dix, Yozo Hamaguchi, Jannis Kounellis, Markus Lüpertz, René Magritte, Giuseppe Migneco, Giorgio Morandi, Nam June Paik, Concetto Pozzati, Giuseppe Santomaso, Dolores Sella, Rik Slabbink, Daniel Spoerri, Aldo Spoldi, Emilio Tadini, Arturo Tosi, Giulietta Vezzoni Gamberini, Andy Warhol, Tom Wesselmann.
Questo progetto rientra inoltre in un già intrapreso percorso di valorizzazione sinergica del patrimonio museale della Spezia; il CAMeC accoglie in mostra, pertanto, oggetti provenienti dal Museo Civico Etnografico "Giovanni Podenzana" (e alcuni prestiti privati), proponendo una sorta di 'glossario' della natura morta attraverso l'accostamento di elementi che nel corso del tempo ne hanno contraddistinto l'iconografia (lo specchio, la candela, il libro, lo strumento musicale, la clessidra e molti altri) e la documentazione dei grandi temi che accompagnano il genere - la vanitas, i cinque sensi, i quattro elementi della natura -, a svelarne la complessa e criptica simbologia. Questo Focus on Still Life è curato da Cristiana Maucci in collaborazione con Anna Nancy Rozzi, conservatore del Civico Museo del Sigillo.
Museo Civico "Amedeo Lia"
Al Museo Lia è presente un importantissimo nucleo di nature morte di produzione tardo rinascimentale e barocca, alle quali vengono affiancati altri capolavori provenienti dalla collezione privata Lia, dai testi figurativi seicenteschi di Cristoforo Munari e Octavius Monfort al florilegio di Fillipo De Pisis, opera eccellente che per cronologia e contenuti dialoga perfettamente con la silloge proposta dal Camec. Veri capolavori, le nature morte sono state ordinate a cura di Andrea Marmori e Francesca Giorgi lungo il percorso espositivo, nel cuore della pinacoteca del Museo, e costituiscono una pausa di riflessione che vuole condurre alla grande sala XIII del museo, interamente dedicata a questo genere pittorico che tanto successo conobbe a partire dalla fine del Cinquecento.
Di seguito le opere esposte in mostra con una breve scheda:
Francesco Guardi, Venezia, 1712-1793, Composizioni floreali poste su basi rocciose, olio su tela
Questa meravigliosa tela per la vivace profusione di rose, tulipani, garofani e altri fiori resi con vaporosità e virtuosismo è ricondotta, per l'alto livello qualitativo, a Francesco Guardi, noto per i vibranti paesaggi lagunari. Il dipinto trova un confronto significativo con le due composizioni floreali conservate al Museo Diocesano di Trento, ritenute opere del periodo giovanile del pittore e descritti come "una cascata di rose, di tulipani, di campanule, di fiori selvatici: un intersecarsi di petali luminosi e di foglie dal verde più svariato, i quali hanno la leggerezza delle farfalle e scintillano netti e armonici sopra il fondo unito, di quell'azzurro argentino inimitabile che solo Guardi conobbe".
Octavianus Monfort, attivo a Torino 1646-1696, Nature morte, tempera su pergamena
Octavianus Monfort fu attivo con certezza per oltre un cinquantennio a Torino, responsabile di un gruppo di miniature, firmate e datate, raffiguranti nature morte, e ancora di una serie di miniature firmate ma non datate, sempre raffiguranti nature morte o, in qualche caso, scene sacre. L'artista rivela in queste opere una perfetta conoscenza delle miniature di Giovanna Garzoni, attiva per la corte sabauda fra 1632 e 1637, alla quale le due pergamene sono state altresì attribuite. In particolare appare dipendere dalla illustre miniaturista marchigiana la tecnica messa in atto, espressa con una pittura granulare e puntinata, così come la trattazione esatta e perfetta di elementi naturalistici
Filippo De Pisis, Ferrara 1896-Brughiero, 1956, Natura morta autunnale, olio su tela
La tela è firmata e datata "LONDRA, DE PISIS 35", con l'ultima cifra corretta in seguito in "8". La malinconica natura morta, eseguita dunque nel cosrso del soggiorno londinese, è stata esposta alla personale del pittore a Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1951, e rappresenta frutti autunnali disposti su piani obliqui, privi di resa prospettica, secondo un modulo rappresentativo ripetuto dal pittore innumerevoli volte nelle sue nature morte. La gamma cromatica asseconda la stagione, i toni sono caldi eppure opachi, giocati sui toni bruni e ambrati resi con pennellate lievi e vibranti, ai quali si sovrappongono graffi e rigature a sottrarre la materia pittorica.
Anonimo seguace del Maestro di Hartford, Natura morta con frutta e verdura, olio su tela
La mancanza di unità spaziale fra le varie forme dipinte fa pensare che l'opera sia stata concepita come campionario, ossia un sussidio utilizzato in una bottega specializzata per allestire composizioni di fiori e frutti, resi episodicamente. L'ignoto autore parrebbe un artista attivo a Roma negli anni intorno al 1630, un pittore di cui non è facile ricostruire l'identità, responsabile di alcune tele di uguale concetto, denominato convenzionalmente con l'etichetta di Anonimo seguace del Maestro di Hartford. A tale artista si riferisce difatti un nucleo di opere di forte ascendenza caravaggesca, dove è possibile ravvisare affinità precise nella scelta e nella resa dei vegetali, coì come nell'alzatina di maiolica.
Anonimo Italiano del XVII secolo, Natura morta con aragosta e vaso di farmacia, Natura morta con pesce limone, olio su marmo
Creati in pendant i due piccoli e raffinati dipinti sono realizzati su un materiale di supporto che va forse identificato nel cottanello antico, e risultano databili alla seconda metà del Seicento. Correntemente riferiti a un artista genovese i dipinti sono per ora difficilmente attribuibili, anche in considerazione della loro rarità. Sono infatti assai poche le nature morte dipinte su pietra note agli studi: pezzi di maggiori dimensioni furono eseguiti in Lombardia da Giovanni Saglier e sono conservati a Palazzo Borromeo, all'Isola Bella. Qualche elemento in comune sussiste con le opere ricondotte a Gian Domenico Valentino, autore principalmente di interni di cucina dove vengono elaborate complesse composizioni raffiguranti utensili in rame, terrecotte, verdure e selvaggina.
Cristoforo Munari, Reggio Emila 1667-Pisa, 1720, Natura morta con frutta e porcellane, olio su tela
La splendida tela denota i caratteri tipici del catalogo di Cristoforo Munari, dove spiccano le porcellane azzurre e bianche, specchiate nel piatto di peltro, e gli agrumi tagliati e sbucciati. Dalla natia Emilia Munari era giunto a Roma allo scadere del Seicento, entrando in contatto con il vivace ambiente dei fiamminghi, dai quali assorbe la stessa precisione di resa e il rigore cristallino. A Firenze fin dal primo decennio del XVIII secolo, qui si specializza nella figurazione di arance, pompelmi, limoni, mandarini, i dorati pomi delle Esperidi che tanto piacevano al suo principale committente, Ferdinando Medici, il quale richiedeva al pittore tele per le ville di campagna, dove effettivamente venivano messe in mostra le straordinarie collezioni di agrumi, vero vanto della famiglia granducale.
Museo Archeologico Castello San Giorgio
Xenia: I doni ospitali. Omaggio alla natura morta di età romana
Il Museo Archeologico del Castello San Giorgio in connessione con la mostra del CAMeC "Still life" ha dedicato un omaggio alle "nature morte" presenti sugli affreschi parietali di epoca romana rinvenuti ad esempio nelle domus delle zone vesuviane. In quell'epoca in realtà non esisteva ancora il genere pittorico della natura morta, tuttavia sono frequenti le rappresentazioni di vasi con frutta e vari tipi di alimenti raffigurati con spiccato naturalismo ed effetti illusionistici. Queste opere erano chiamati xenia, ovvero per queste raffigurazioni si usava lo stesso termine che indicava i 'doni ospitali' (i cibi freschi come frutta, verdure, uova, formaggi...) che gli ospiti trovano nelle proprie stanze come omaggio da parte del padrone di casa.
Ispirandosi alla pittura romana nel Museo è stata realizzata una "natura morta" esponendo i vasi e le suppellettili del Museo Archeologico, privilegiando nella scelta i reperti normalmente non visibili perché conservati nei depositi, facenti parte delle collezioni Fabbricotti, e quindi ritrovati a Luni, e Cappellini, provenienti per lo più dall'Italia meridionale.
Museo Civico Etnografico "Giovanni Podenzana"
Etnocapricci. Nature morte che raccontano il passato.
Il Museo Etnografico partecipa in due modi al progetto scientifico sulle nature morte che coinvolge i Musei Civici della Spezia: prestando manufatti delle Sezioni di Storia Naturale e di Antropologia Fisica che saranno visibili nel percorso espositivo del CAMeC; allestendo presso la propria sede due nature morte (La tessitura casalinga e La scrivania dell'etnografo) che raccontano visivamente la Sezione di Etnografia Locale e quella che raccoglie e conserva le rarità extraregionali provenienti da ogni angolo della Terra. Se da una parte si fa rivivere il mondo femminile e intimo della preparazione dei tessuti che molta importanza rivestiva nella povera economia di sussistenza delle comunità lunigianesi del passato, dall'altra si rievoca la figura del primo conservatore etnografo, Giovanni Podenzana, e la costituzione delle raccolte esotiche. Come i capricci nella storia della pittura moderna sono composizioni immaginose che accostano elementi tra loro distanti cronologicamente e spazialmente, così le nature morte del Museo si costituiscono di elementi giunti in collezione in modi e con tempistiche diverse che non è detto, ad esempio, che si sarebbero potuti trovare contemporaneamente sulla scrivania del Podenzana.
Civico Museo del Sigillo
Ex falso... quodlibet. Ricordi, necessità e desideri nella natura morta del Seicento
In parallelo con la mostra temporanea del CAMeC "Still life" il Museo del Sigillo, come le altre realtà museali spezzine, presenta ai visitatori un omaggio alla natura morta, basandosi sulla peculiarità delle collezioni che lo compongono. Anna Nacy Rozzi, conservatrice del Museo, ha scelto la prima parte del titolo ispirandosi al teorema dello Pseudo Scoto che recita «Dal falso segue qualsiasi cosa a piacere» (Ex falso sequitur quodlibet, cioè partendo da una premessa falsa possiamo dedurre tutto ciò che preferiamo), giocando sulla denominazione del particolare tipo di natura morta che vede come soggetto la raffigurazione iperrealistica di lettere, sigilli e documenti: il quodlibet.
Le due tavole ricostruite in museo sono liberamente ispirate alle opere di Edwart Collier, Cornelis Norbertus Gijsbrechts e Samuel Dirksz van Hoogstraten; i documenti e i sigilli che le compongono, tratti dai depositi del Museo del Sigillo e facenti parte della collezione Lilian ed Euro Capellini, sono originali databili tra la fine del Cinquecento e gli inizi del XIX secolo. Gli oggetti che li accompagnano, appartenenti a prestatori privati, vogliono concorrere a ricreare l'impatto visivo degli antichi quodlibet.
Per enfatizzare ulteriormente l'«Ex falso...» della premessa, sono state inserite testimonianze significative a livello personale e storico, come un mazzo di chiavi del transatlantico Andrea Doria ed alcuni oggetti collegati ai sistemi di scrittura contemporanei.
Palazzina delle Arti
Natura artificiale
Guardando a Still, still life, mostra che al CAMeC espone le nature morte contemporanee di collezione civica, la Palazzina delle Arti offre al pubblico cittadino la piccola personale di Cosimo Cimino, intitolata Natura artificiale, che raccoglie opere relativamente recenti, realizzate a partire dagli anni novanta ad oggi. In uno spazio inusuale – quello ricavato dalle nicchie dalle grandi finestre del piano terra dell'edificio - le opere di Cimino sono allestite quasi come se fossero all'interno di una vetrina, ricreando degli insiemi tematici in qualche modo tutti riferibili al vasto ambito della natura morta e godibili dai passanti senza necessariamente accedere all'interno dell'edificio.
Il percorso di Cosimo Cimino, tra i fondatori nel 1968 della storica galleria Il Gabbiano - insieme a Fernando Andolcetti e Mauro Manfredi – è caratterizzato fin dagli esordi da una necessità instancabile di sperimentazione attraverso i generi artistici, le tecniche e i materiali più disparati, sempre guidato dalla ricerca del linguaggio più adeguato a restituire le incoerenze della società contemporanea, di cui egli è costante e attento osservatore.
Opere esposte: Arte da bere, bicchieri di plastica, frammenti di carta, supporto in metallo dorato; Prova a suonare il sole (1991). Rame, legno, piombo, cuoio, vetro. Fichi d'India (2003). Lattine su supporto in legno; I cappelli di Marinetti (2002). Cappelli maschili, rivestimento in lattina; Spettatori eccellenti (2007). Cravatte realizzate a collage di cartoncino e lattine; Taglia n 38 (1998). Scarpe femminili, rivestimento in lattine; Taglia n 39 (2000). Scarpe femminili, rivestimento in lattine; Geneticamente modificati, ma tutti cornuti (2004). Teca in legno, ovatta, collage di lattine