In questa sede mi limito a ricordare i suoi scritti sul turismo in Liguria: un tema sul quale, dopo oltre un secolo e mezzo, non c’è mai stata una riflessione storica, perché farla significherebbe, diceva Quaini, “mettere in discussione noi stessi, il nostro modo di vivere”. Un filo rosso collega il suo pensiero negli anni. Nella “Storia d’Italia” (1994), Quaini cita i due maggiori promotori delle fortune turistiche di Bordighera, Charles Garnier e Ludwig Winter, che prima dell’avvento del turismo di massa scrissero pagine profetiche sulla minaccia di distruzione delle ricchezze paesistiche e sulla necessità di non abbandonare la tradizionale agricoltura e il suo paesaggio agrario, indicati come condizioni necessarie per lo sviluppo dello stesso turismo. Ma oggi, scriveva Quaini, dei numerosi paesaggi e siti che a fine Ottocento venivano proposti al turista come “soggetti artistici” e raccomandati al Comune, è rimasto ben poco. Nel testo del 1994, “a sottrarsi in gran parte alle lusinghe del turismo di speculazione sono state le Cinque Terre”. Ma ne “L’ombra del paesaggio” (2006) Quaini denuncia “il rischio di trasformare le Cinque Terre in un Parco tematico stile Disneyland”, dove impera il simulacro, mentre la realtà esiste ancora ma non viene vissuta, al massimo solo guardata. Una riflessione che ritorna nei documenti dell’Osservatorio: il turismo nelle Cinque Terre “crollerà se non ci sarà la volontà di riprodurre le risorse ambientali e paesaggistiche del luogo” perché “la Vita dell’uomo è possibile solo con la Vita della terra”.
La sfida per la Liguria, ecco una lezione di Quaini, è quella di connettere nuove tecnologie e sapienza ambientale storica degli agricoltori per mantenere l’identità e la coscienza dei luoghi, condizioni necessarie perché bellezza e turismo ci siano anche in futuro.
Giorgio Pagano
(Foto: La Repubblica)