Nemmeno questa volta sono mancati gli attacchi e le polemiche, che una volta tanto, però, sono finite in un nulla di fatto, soffocate dagli applausi commossi ai tre ospiti dello SpeziaFest, il piccolo festival organizzato dagli ultras dello Spezia al Centro Allende.
Ilaria Cucchi, Guido Magherini e l’avvocato Fabio Anselmo: tre nomi che stanno lì a ricordare ferite indelebili nella macchina della giustizia italiana, ancora oggi non rimarginate. Le cosiddette “morti di Stato”, con cui questo paese, purtroppo, ha fin troppa familiarità.
Di Stefano Cucchi – il ragazzo arrestato per possesso di droga il 15 ottobre 2009, trasferito nel carcere di Regina Coeli e morto una settimana dopo, con ecchimosi inequivocabili e in uno stato di totale deprivazione – si è già raccontato tutto. Anche l’iter giudiziario si è concluso, dopo che la Cassazione aveva chiesto per due volte un nuovo processo di appello (l’ultima ad aprile di quest’anno), con un finale tipicamente italiano: la prescrizione. Otto anni per arrivare ad un nulla di fatto: una verità giudiziariamente riconosciuta sulle circostanze in cui Stefano è morto, ad oggi, non esiste.
Ancora in corso, invece, il processo di appello riguardo alla morte di Riccardo Magherini, il 40enne che a Firenze, nel marzo 2014, dopo aver assunto cocaina, visibilmente agitato, venne immobilizzato e ammanettato a faccia in giù sull’asfalto da alcuni carabinieri. Toccante il ricordo commosso del padre Guido: “Riccardo quella notte chiedeva aiuto con tutta la sua forza. Quando questi carabinieri sono intervenuti, l’unica cosa che gli è venuta in mente di fare è stata quella di buttare a terra mio figlio schiacciandolo e prendendolo a calci. Noi abbiamo fin da subito cercato di dimostrare quello che è successo, ma un intero mondo si è rivoltato contro di noi, quello della polizia. Riccardo aveva un nonno carabiniere, davanti al quale questa gente si dovrebbe inginocchiare. Noi non ce l’abbiamo con l’arma tutta, ma sappiamo che dentro l’arma ci sono delle mele marce”.
In compenso oggi in Parlamento si sta ancora discutendo il disegno di legge sul reato di tortura (la settimana prossima forse l’ultima lettura), giudicato però da molti inutile e persino controproducente: “Con il reato così come uscirebbe da questo disegno di legge – ha spiegato ieri sera l’avvocato Fabio Anselmo, il legale che ha seguito le vicende delle due famiglie – non sarebbe cambiato nulla. Anzi, così com’è strutturato, il reato di tortura rischierebbe di dare la patente di ‘non torturatore’ a chi la tortura la pratica eccome. Il dibattito sul reato di tortura è la cartina al tornasole del livello culturale di questo paese”.
Uno dei punti più contestati del disegno di legge, ad esempio, sta nel fatto che, per poter configurare il reato, la tortura deve essere frutto di “plurime condotte”: “Se tu lasciassi senz’acqua un detenuto, o al freddo, o lo trascinassi per i capelli sul pavimento non rischieresti nulla. Anche le vicende di Stefano o Guido sfuggirebbero a questo reato”, ha osservato Anselmo.
Un travaglio di quasi quattro anni quindi, da quando nel marzo del 2014 il Senato aveva licenziato la prima versione del ddl, poi definito due anni dopo nella sua versione attuale, per partorire un topolino, o addirittura peggio? “Se questa legge dovesse essere approvata – dice Ilaria Cucchi – sarebbe l’ennesima dimostrazione che in questo paese dei diritti umani non frega niente a nessuno. Da sorella di Stefano Cucchi, se questa è l’unica cosa che riuscite a partorire mi sento di dire: grazie lo stesso, ma lasciate stare”.
Lo scenario sarebbe ancora peggiore per l’avvocato Anselmo, che della battaglia contro i casi di tortura ha fatto una missione di vita: “Non ha alcun senso introdurre un reato contro la tortura che non punirebbe il torturatore, che invece verrebbe condannato secondo gli ordinamenti di altri paesi. Facciamone un’altra: una legge semplice e chiara”.
Quanto alle tensioni che ogni volta, puntualmente, accompagnano questi incontri, Anselmo tiene a precisare: “Io ho il massimo rispetto per le organizzazioni sindacali delle forze dell’ordine, ma mi chiedo: cosa c’è di sindacale in queste vicende? La verità è che in Italia abbiamo un’emergenza, che è quella del rispetto dei diritti umani. Chiunque si batta per questa emergenza viene tacciato di essere contro le forze dell’ordine, quando invece una legge contro la tortura sarebbe una tutela per le stesse forze dell’ordine! Perché sappiamo che ovviamente non tutti gli agenti sono adusi alla tortura”.
Le polemiche, le strumentalizzazioni politiche e persino gli insulti passano. Restano invece, a distanza di otto anni, le immagini del corpo straziato di un ragazzo di trentun anni, il calvario infinito di una famiglia (come di tante altre) e gli occhi segnati dal dolore di Ilaria: “Io e Guido abbiamo vite completamente diverse, facciamo lavori diversi, non ci saremmo mai dovuti incontrare. Ma almeno una cosa che ci accomuna c’è: il bisogno di non piegarci ai soprusi, alle cattiverie e agli insulti. Ci accomuna quel momento in cui lo Stato ti volta le spalle e diventa il tuo nemico. Ecco perché la prima cosa che dobbiamo fare è non voltarci dall’altra parte. E continuare a indignarci”.