Fabrizio Mismas, scultore e cultore del patrimonio artistico locale, esprime la propria opinione sulla nuova Piazza Verdi.
Dissento dai pareri entusiastici di artisti ed esperti, che ovviamente rispetto, elargiti alla "riqualificata" piazza Verdi e riportati, in questi ultimi giorni, su alcuni organi di stampa.
Penso che nella "riqualificazione" si sia ripetuto l'esito, per me infelice, di piazza Cavour: in entrambi gli interventi si è sorvolato con noncuranza sul contesto ed il preesistente ha subito un'immeritata relegazione ad un ruolo secondario. In piazza del mercato a causa delle dimensioni esagerate che occultano dal campo visivo i palazzi di contorno (le vecchie tettoie si inserivano nello spazio della piazza con una ormai dimenticata discrezione); in piazza Verdi a causa dello strapotere visivo del colore acceso e delle forme accentuatamente geometriche del tutto non armonizzanti.
A questo punto il mio amico
sotuttoio obietterà trionfante: "Ma dove sta scritto che un inserimento architettonico o scultoreo deve per forza tener conto dell'ambiente di collocazione? Si può volutamente perseguire il contrasto a testimonianza dei segni della nostra epoca". Se questo concetto valesse sempre e non solo quando fa comodo dovremmo, allora, cancellare tutti i vincoli urbanistici e paesaggistici che non lasciano liberi i progettisti di disegnare in totale libertà per qualsivoglia ambito. Parlo di concetto, di gusto e di buon senso; tralascio di proposito la legge di cui so poco o nulla ma in cui fiuto la presenza di falle in merito. Con uno sforzo di immaginazione, figuriamoci gli archi e i pilastri di Buren collocati nel parco, che prima o poi sarà realizzato, di fronte alle Terrazze. Ecco in questo ambiente nuovo cascherebbero con la giusta coerenza. E qui sorge il pensiero in cui credo fermamente: gli aggiornamenti stilistici o le operazioni artistiche di evidente contemporaneità si facciano in quartieri, palazzi e piazze nuovi; i centri storici, anche quando non protetti dalla normativa, si mantengano e in caso di degrado si restaurino ma non si contaminino con segni del tutto avulsi.
Ma ancora il mio amico-nemico
sotuttoio obietterà: "e bravo!, non sai che i centri storici sono la somma di interventi disomogenei accumulati nel tempo?" Veramente erano la somma. Perché nel passato si costruiva in libertà demolendo indiscriminatamente, si ridipingevano intere porzioni di affreschi o quadri, si tagliavano o ricostruivano sculture. Poi venne il Novecento con le nuove idee di conservazione e restauro e allora gli scempi e le profanazioni finirono. Domanda: ma un centro storico è tanto diverso da una scultura o da un dipinto? La risposta è presto fatta: a mio avviso la "riqualificazione" non doveva neanche essere pensata. Semmai la piazza doveva essere sottoposta a restauro cioè riportata allo stato iniziale, stato raffigurato dalle molte immagini fotografiche che parlano ancora di discrezione - concetto che l'arte contemporanea ha mortificato nel continuo ricorso al rumore, allo scioccante per emergere, alla provocazione a tutti i costi – quella discrezione calata sullo spazio-piazza con l'inserimento di pochi elementi così da lasciare la priorità visiva ai palazzi.
Concludo ricordando la previsione letta e spesso ascoltata del tipo "l'impatto iniziale negativo verrà col tempo attutito e cambiato in positivo" seguita dall'elenco di opere prima disprezzate e poi accettate. Purtroppo il tempo non attutisce ma porta assuefazione, pessima conseguenza ai limiti della rassegnazione; gli esempi poi si possono bilanciare con altri di segno opposto: rimanendo in loco, l'esterno della Cattedrale ha mai fatto cambiare i burrascosi giudizi di quel lontano 1975?