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La Biblioteca del Lavoro: Roberto d’Incau e Rosa Tessa

di Francesca Dallatana - Punto di svolta. Working by changing.

La stasi inquina la mente. Regola numero uno: rompere il gioco.
L’ambiente di lavoro può assumere diversi livelli di tossicità. Anche quella blanda nuoce gravemente alla salute. Regola numero due: abbandonare il campo.
Il cambiamento è il carburante della vita professionale.
I ruoli organizzativi non sono per sempre. E vale per tutti: dirigenti, operai, operatori e impiegati. E’ in costante mutamento l’ambiente esterno delle organizzazioni e altrettanto lo sono i lavoratori.

“Non è mai troppo tardi per cambiare vita”: è il sottotitolo di un libro datato duemila e dieci, dato alle stampe da Salani Editore. Il titolo è un mantra nei casi di disagio: “Quasi quasi mi licenzio.” Roberto d’Incau e Rosa Tessa: gli autori.
Roberto d’Incau è un cacciatore di teste ed executive coach, nella Milano che permette professionalmente tanto, promette e qualche volta non mantiene ma chiede alti livelli di competenza. Ascolta storie di lavoro e storie di vita, per mestiere. Osservatore esterno con sguardo lucido. Nel libro sembra riflettere e pensare a voce alta insieme ai protagonisti. Traccia il loro profilo, coglie il talento e il guizzo creativo ispirato da motivazione e tensione profonda che ha permesso loro di esprimere sé stessi in una nuova vita di lavoro.

Rosa Tessa è una giornalista di rodata competenza e significativa esperienza nella comunicazione.
Duemila e dieci: a due anni di distanza dalla grande crisi economica causata dai fatti della Lehman Brothers, l’auspicio al cambiamento catartico potrebbe suonare come terapia possibile al trauma sociale. Che si è ripresentato nel biennio venti-ventidue per l’emergenza sanitaria. Sono date periodizzanti per la storia sociale. Ma la trasformazione è l’essenza dell’esistenza, nonostante i forzati punti di svolta. Un trauma sociale ha il potere di accelerare il processo del cambiamento oppure di suggerirlo. Il lockdown del biennio venti-ventidue è stato un tempo di grande movimento e trasformazione, sotto il profilo sociale e psicologico.

Zona di conforto.
Le storie di lavoro partono tutte dalla zona di conforto, dove ci si sente intoccabili e garantiti. Percezioni, non fatti concreti. La base sicura non è l’ambiente di lavoro. Lo dimostrano le narrazioni catartiche affidate all’ascolto di Roberto d’Incau.
La base sicura è fortemente intrecciata ai talenti, alle pulsioni profonde, agli interessi culturali. E alla curiosità di futuro. Non sono fungibili versatilità e talento che hanno permesso l’ingresso nel mercato del lavoro dalla porta principale, il raggiungimento di una posizione di rilievo e la tenuta. Ai casi di studio, gli autori alternano esperienze di protagonisti indentificati con nomi e cognomi: scrivono in prima persona oppure rispondono alle domande della giornalista. Curiosità e cultura: è il comune denominatore dei lavoratori del libro. Hanno esperienze e competenze estreme e privilegiate

Regola numero tre: non si vive solo di stabilità. Il bozzolato grigio richiede ossigeno. Spesso quello inespresso e trattenuto nel personale scrigno del talento e declinabile nell’incertezza di un futuro da costruire o da ricostruire sulla base delle competenze. Onestà intellettuale, rispetto di se stessi e senso della realtà permettono una lettura lucida delle proprie possibilità professionali declinate al futuro. Che comincia qui ed ora.

Cultura dell’errore.
Giovanna, Agnese, Rischa, Paolo, Giuseppe, Laura e gli altri. Nessuno di loro arriva dalla palude della disoccupazione. Tutti iniziano la corsa verso il futuro dalle fossette di lancio di una professione. Che è stata la loro, che è la loro. Perché il passato non si cancella. E questa è la regola numero quattro.
Applicano all’auto-analisi affidata alla consulenza di Roberto d’Incau l’approccio della cultura dell’errore. Cioè una visione dell’apprendimento e della gestione delle modalità di lavoro che focalizza l’attenzione sulla trasparenza e la tolleranza nei confronti dell’errore.
Per errore si intende qui lo iato tra il come si deve essere e come ci si sente nel profondo.
L’errore, cioè l’avere dedicato tempo ed energia a un impegno di lavoro estraneo all’essenza del proprio talento, non è un fallimento. Non servono i rimpianti. Inutili, le rivendicazioni e il rimuginare le azioni intraprese nel passato.

Regola numero cinque: la cultura dell’errore applicata al cambiamento professionale e al rilancio personale è il forte detonatore di un nuovo inizio. Richiede nuove lenti e un nuovo impulso al metronomo della propria musica. Significa fare un’accurata autoanalisi e mettere sui piatti della bilancia i fatti: come è andata realmente e che cosa ci si aspettava. Che cosa si è fatto e che cosa è ancora possibile fare. C’è sempre tempo. Si apprende fino all’ultimo respiro. Si può cambiare fino al tempo del tie-break. Nessuna partita da vincere, nessun podio da scalare. L’imperativo è assolversi e riappropriarsi della vita.

La propria musica.
Non sempre e non a tutti è possibile suonarla. Perché ha bisogno del tempo di latenza, dell’incubazione psicologica. Lo spartito personale potrebbe arrivare nel mezzo del cammino dell’età della ragione. Più la musica è raffinata e più richiede cultura, curiosità, coraggio.
I protagonisti del libro sono lavoratori di professionalità matura e alta. Si sono liberati della zavorra che li tratteneva, dai vecchi schemi di comportamento. Se non lo hanno fatto, li hanno indentificati, guardati in faccia, chiamati per nome. Per osservarli da una distanza di sicurezza, quella che permette l’obiettività.

Regola numero sei: andarsene dal tracciato professionalmente praticato significa assumersi il rischio di impresa. E delle sue conseguenze: l’incertezza ma anche l’entusiasmo di un nuovo inizio.
Rischiare è inebriante. Chi si affida a un coach conta sulla dialogante razionalità della consulenza. La comunicazione equilibrata e puntuale dei casi raccontati ne è testimonianza. “Importante nelle fasi di cambiamento avere chi ti supporta. Non per farsi dare una pacca sulla spalla, ma che aiuti a vedere le cose in maniera critica. Io ho mia moglie.”, racconta un intervistato.
I rischi concreti sono finanziari e operativi. E ancora: riguardano l’adeguatezza della nuova musica professionale rispetto alle caratteristiche del mercato di lavoro di riferimento. “Ho abbandonato ogni nostalgico anacronismo e ho cercato di essere contemporaneo. In altre parole ho avuto la lucidità di capire e di agire velocemente quando è stata l’ora di cambiare registro, di dare una svolta alla mia vita professionale, che è diventata anche una svolta esistenziale.”

Equilibrio.
L’architrave di un’organizzazione è l’equilibrio. Come per la vita. Il lavoro dovrebbe essere degno di essere chiamato vita. “Work-life balance”: gli autori lo citano a proposito della storia di Agnese. Il suo è un futuro professionale condizionato dall’ipoteca imposta dalla famiglia d’origine: “al massimo farai la segretaria, non serve andare oltre il diploma di maturità. L’importante è che ti sposi e fai dei figli. Tuo fratello si è iscritto alla Bocconi. Lui sì che farà carriera.”
Agnese si iscrive alla facoltà di Lettere ma è poco convinta. La famiglia diventa un peso. Inizia a lavorare come centralinista in una casa editrice. La notano subito. E’ brillante. Di apprendimento agile. L’organizzazione si trasforma e per lei si profilano altre possibilità. Comincia a scrivere. Efficace, immediata nella comunicazione. Diventa giornalista. Dalla redazione passa alla direzione di una testata del gruppo editoriale. Una carriera prestigiosa. Eppure l’esigenza di riprendersi un tempo personale da dedicare alla famiglia e ai propri spazi di lettura e ad altri interessi comincia ad affacciarsi nelle lunghe giornate.
Agnese abbandona per la seconda volta una zavorra, in modo consapevole. Dopo essersi allontanata dall’ipoteca imposta dalla famiglia di origine non permette al successo professionale di divorarle il tempo. A passeggio, ritorna verso se stessa. Ritorna ad essere padrona del proprio tempo. Ha strappato la divisa che la famiglia le aveva cucito addosso. Aveva scelto di indossare un abito professionale congeniale al suo spirto smart. Le condizioni ambientali glielo hanno permesso, favorendo il percorso di carriera. E per la seconda volta rompe il gioco.

Regola numero sette: rompere il gioco ciclicamente è necessario. Altrimenti si rischia di diventare una funzione dell’ambiente operativo, uno specchio che riflette e ribatte nell’altra metà campo ciò che l’ambiente di riferimento dell’organizzazione richiede. Un’altra imposizione. Perdere di vista se stessi è frequente.

Regola numero otto: rimanere nello stesso ruolo a lungo logora il nocciolo duro, cioè la componente più significative dell’identità: le pulsioni capaci di fare vibrare le corde nel profondo.

Regola numero nove: la perdita del lavoro è un trauma. Anche la decisione di dimettersi lo è. Un trauma scuote le fondamenta delle certezze e del senso di sicurezza. Ma apre una feritoia verso un futuro da immaginare. Si immagina ciò che si ha in testa. Si immagina ciò che piace. Piace ciò che riesce.

Regola numero dieci: un coach possiede la competenza per supportare la transizione verso un nuovo rapporto con il lavoro e una nuova versione di se stessi.
Ma una persona più di tutte è fondamentale nel processo del cambiamento: “In te stesso puoi trovare qualcuno”, così Joris-Karl Huysmans in “Controcorrente”.

Roberto d’Incau, Rosa Tessa: Quasi quasi mi licenzio: non è mai troppo tardi per cambiare vita, Salani Editore, Milano, 2010

 

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