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Don Giulio Mignani: "Alla Chiesa manca l'ascolto" In evidenza

di Francesco Vito Ciaravino - Andare controcorrente per una Chiesa che sappia ancora parlare all’uomo.

Senza dubbio ricorderete don Giulio Mignani, figura religiosa tra le più discusse dell’ultimo periodo per via delle sue posizioni controcorrente rispetto ai canoni cattolici. Attraverso domande, per certi aspetti provocatorie, si dispiega la sua visione tra fede e quotidianità.

C’è un brano di Kè del 1995 dal titolo “Strange World”, in cui si attesta: “When science now is sacred who will save us from ourselves” (Ora che la scienza è sacra, chi ci salverà da noi stessi?). In una società che ha fatto dell’innovazione scientifica il suo centro gravitazionale, in un mondo dove le conoscenze sono oggettivamente in grado di spiegare e definire aspetti dell’esistenza talvolta ritenuti innaturali o immorali dalla Chiesa, che ruolo conserva ancora la religione? La dimensione della spiritualità cattolica è ancora attinente all’uomo o prenderà lentamente la forma e la sostanza di una “tradizione” aliena all’umanità dell’avvenire?
Il rischio che la Chiesa possa arrivare a questo tipo di deriva, è reale. Ciò che le manca, a mio modo di vedere, è l’ascolto. Usando un’immagine biblica, spesso ho l’impressione che in essa sia radicato un “peccato originale”, identificabile con la certezza di possedere indiscutibilmente la verità assoluta. Questa ostinata convinzione non solo le impedisce di dialogare attivamente con altre realtà (ad esempio con quella scientifica), ma la mette nella condizione di non poter superare l’incompatibilità tra un percorso (anche solo ipotetico) di rinnovamento e la difesa dei suoi stessi principi, in quanto formulati preventivamente come assoluti e indiscutibili. Con questi presupposti, in futuro, la religione cattolica potrebbe davvero rischiare di diventare qualcosa di sempre meno accoglibile e condivisibile dalle nuove generazioni; esse infatti, precocemente, sperimentano il divario fra le posizioni della Chiesa, spesso fondate su un’interpretazione discutibile della Scrittura, e quanto i saperi del loro tempo propongono riguardo alla storia dell’umanità, all’origine del cosmo e all’evolversi delle sensibilità. Non sapendo come aggirare il dualismo che gli si para davanti, non di rado i giovani pervengono a forme di agnosticismo o ateismo; oppure, all’opposto, ad un modo fideistico di credere, che ha come sintomo portante l’accettazione acritica dei contenuti della tradizione. Così facendo, l’interesse per una sana vita spirituale viene inibito, pur essendo la nostra epoca disperatamente bisognosa di tale dimensione, anche a causa di quella diffusione pervasiva della tecnologia che, se non accompagnata, può condurre alla perdita dei valori umanistici.


Questa sorta di “malattia d’irrealtà” da parte della Chiesa, quanto ha a che vedere con la concreta esperienza della sofferenza umana, e quanto con l’irremovibile difesa di presupposti e outcomes ormai radicati?

La “malattia d’irrealtà” si guarisce, ancora una volta, con l’ascolto attivo e partecipe della sofferenza umana. Io stesso, non lo nego, all’inizio del mio percorso sacerdotale ricalcavo pregiudizi legati a stereotipi sociali con i quali sono cresciuto, un po’ come tutti i miei coetanei. Giudizi formulati senza una vera conoscenza delle storie personali e della varietà delle situazioni esistenziali dei miei interlocutori. È questo il pericolo che corre anche la Chiesa: non essere capace di accostarsi sinceramente alla complessità e alla ricchezza dell’animo umano. Ho un ricordo vivido del primo periodo di sacerdozio: si presentò in confessionale un uomo, il quale si liberò di ciò che lui avvertiva come un peso insostenibile. Mi disse di essere omosessuale, ma che a causa della duplice pressione esercitata dalla società e dalla religione, aveva scelto di sposare una donna. Mi parve chiaro: gli avevamo impedito (come società, come Chiesa), più o meno esplicitamente, di essere se stesso, inseguendo e appoggiando la narrazione, biologicamente, psicologicamente e antropologicamente infondata, della “condotta deviata”. Non era piuttosto ciò a cui lo avevamo condotto a essere qualificabile come situazione esistenziale “contro natura”? Questa esperienza mi ha suggerito di convertire la mia attitudine umana e pastorale verso le persone, improntando i rapporti a un ascolto serio, empatico e senza pregiudizi. È il passo che, secondo me, anche la Chiesa dovrebbe compiere, evitando così di ergersi a semplice protettrice delle proprie ideologie.


Perché allora la Chiesa ha evidenti difficoltà a rapportarsi con l’evoluzione culturale/sociale/scientifica? Perché c’è questa tendenza alla preservazione?
Ritorno a quel famoso “peccato originale” di cui parlavo. Laddove si postula una Verità calata dall’alto e della quale ci si reputa unici “eredi e custodi”, tutto ciò che la scalfisce, per definizione, è pericoloso e deviante. A questo proposito, richiamo la “Giornata del rispetto di ogni spiritualità”, un appuntamento annuale che, per iniziativa mia e di alcuni miei collaboratori, da qualche anno si tiene a Bonassola o Montaretto, mie ex parrocchie. È una proposta che nasce proprio da questo presupposto: nessuno di noi possiede compiutamente la Verità assoluta. Ciascuna persona aderisce a un sistema di valori e di contenuti di fede, in buona misura, dipendenti dalla cultura, dall’educazione e dal luogo geografico di provenienza che la caratterizza. È segno di grande arroganza intellettuale ritenere che qualcuno possa possedere, in via esclusiva, la Verità. Durante questo appuntamento, si riflette su quanto meritino considerazione tutte le modalità d’espressione della fede, della spiritualità o semplicemente dell’interiorità, nella consapevolezza che ciascuno è portato a sentire, come spiritualmente più feconda, la modalità legata alla tradizione che lo ha formato. La perentorietà e l’assolutezza, legati alla pretesa di possedere la Verità, caratterizzano anche i pronunciamenti della Chiesa sulla morale. Il fatto è che la Chiesa esprime tutt’oggi una certa autorevolezza morale e dunque le sue posizioni non sono ininfluenti nell’evolversi dei costumi e delle sensibilità. Recenti documenti come “Fiducia supplicans”, sulla possibilità di benedire le coppie omosessuali, mostrano l’attardarsi dell’Istituzione su visioni antropologiche sostenute da una teologia del tutto autoreferenziale e non in dialogo con gli altri saperi. Inoltre, essi mostrano la totale mancanza di empatia verso le sofferenze di chi ancora è discriminato per il suo orientamento sessuale (ricordo che in alcuni paesi l’omosessualità è perseguibile penalmente e perfino passibile di pena capitale). Di fronte a situazioni del genere, sconforta l’invito della Chiesa alla pazienza e all’affrontare tali argomenti con la cautela che richiedono. Quante altre vittime mieterà questa “cautela”? Analogo discorso potrebbe essere esteso, per esempio, alla questione del “fine vita” o dell’“aborto”. Laddove si dibatte sulla pelle delle persone, la cautela e il ritardo non sono ammissibili.


Recentemente a un ragazzo è stato negato l’ingresso al Seminario a causa della sua dichiarata omosessualità. Davvero l’orientamento sessuale di un individuo condiziona a tal punto il suo percorso al sacerdozio?
Assolutamente no. Questo tema ha fatto scalpore in occasione di una recente esternazione pronunciata dal Papa in apertura dell’ultima Conferenza Episcopale Italiana. Il problema è che il diniego ricevuto da quel ragazzo è conforme a quanto stabilito dai documenti della Chiesa. Esiste infatti un documento del 2005 pubblicato dalla Congregazione per l’educazione cattolica, sotto il pontificato di Benedetto XVI (riconfermato poi nel 2016 dall’attuale pontefice), dove si afferma: “Non sono affatto da trascurare le conseguenze negative che possono derivare dall’Ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate. Qualora, invece, si trattasse di tendenze omosessuali che fossero solo espressione di un problema transitorio, come, ad esempio, quello di un’adolescenza non ancora compiuta, esse devono comunque essere chiaramente superate almeno tre anni prima dell’Ordinazione diaconale”. Ci si riferisce dunque all’orientamento omosessuale come a un problema, declinandolo come un qualcosa di debellabile alla stregua di una malattia. Questo è aberrante! Tu Chiesa stai chiedendo a tutti gli aspiranti sacerdoti la stessa cosa, ovvero il celibato. Avendo fatto tale tipo di scelta, al “sopraggiungere della tentazione”, sia l’individuo eterosessuale che quello omosessuale avranno allo stesso modo possibilità di resistere o di cedere. Rifiutando l’ingresso in Seminario di queste persone, si sottintende (impropriamente), che l’omosessuale sia, intrinsecamente, moralmente più fragile e più facilmente indotto a “cadere”. Conseguenza, del resto, purtroppo logica, dato che la Chiesa considera l’omosessualità non come una differenza prevista dalla natura, ma come una devianza, censurabile sul piano morale.


Perché la gente che, per vari motivi è vista negativamente dalla Chiesa, in qualche modo continua a ricercarla?
Ci sono effettivamente, per esempio, tanti gruppi LGBTQIA+ cattolici, che hanno scelto di lottare dall’interno, prodigandosi nel tentativo di provocare dei cambiamenti. Per quanto la situazione attuale sia parecchio scoraggiante da questo punto di vista, è però doveroso ricordare che alcuni mutamenti che si sono verificati nella Chiesa, sono avvenuti proprio a seguito di una pressione esercitata da alcuni suoi membri o dalla società. Per questo il mio intento è, precisamente, quello di dare voce alle persone. Ci fu chiesto nel 2022, in occasione del Sinodo, di ascoltare la base, cioè, appunto, le persone. Nel corso della mia attività pastorale, in varie occasioni, sono sempre emerse perplessità nell’accettare talune dottrine, da parte dei fedeli. Ho dunque redatto un questionario (senza la presunzione che questo diventasse uno studio ufficiale dal valore scientifico) per comprendere i reali dubbi, affinità e lontananze rispetto ad alcune tematiche di fede o riguardo la morale. Il campione di 434 persone (per quanto insufficiente a costituire una reale indagine statistica), particolarmente eterogeneo e riferito in maggioranza a soggetti che si sono qualificati come “credenti cattolici”, ha risposto a quesiti riguardo dottrina e posizioni ufficiali della Chiesa Cattolica, facendo emergere una tendenza molto critica nei confronti dell’apparato morale e dottrinale espresso dalla Chiesa stessa. Tale resoconto fu inviato al Vescovo, all’équipe sinodale diocesana, alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi costituita in Vaticano e a Papa Francesco. Al termine di quell’indagine mi fu chiaro come ci fosse, senza dubbio, la presenza di un “fiume carsico” consistente e caratterizzato, che ha solo bisogno di uno spazio d’ascolto che gli permetta di esprimere la propria profonda richiesta di cambiamento sostanziale rivolto al Magistero della Chiesa. 

 

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